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Anno Giudiziario. M.T.Arena, presidente ANM: ” Non c’è crisi della Giustizia, ma crisi della fiducia nella Giustizia

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maria teresa arena“Sig. Presidente, signori tutti presenti, si inaugura un nuovo anno giudiziario. Con quali aspettative?” Comincia così, con un interrogativo, la relazione di Maria Teresa Arena, presidente della Giunta Sezionale di ANM, Associazione Nazionale Magistrati, oggi nel corso della inaugurazione dell’anno giudiziario.
Ecco il testo della relazione:

“Ascoltando i dati statistici dei quali è stata data lettura, verrebbe da dire “brrr che paura”. A chi dice “i giudici parlino con le sentenze” mi pare che possiamo serenamente rispondere, senza tema di essere smentiti, che è quello che facciamo, come dimostrano i livelli di definizione dei procedimenti tanto civili quanto penali.
Ma forse non vi è interesse a renderli noti.
LEGGO: alla luce dei flussi di lavoro rilevati in corso di verifica, la pianta organica dei magistrati del Tribunale, avuto riguardo alle dimensioni ed al carico di lavoro – oltre che alla comparazione con la situazione di uffici giudiziari distrettuali limitrofi – deve ritenersi del tutto inadeguata alla domanda di giustizia nel territorio.
Si tratta dell’ultima relazione ispettiva del gennaio 2013 e poiché si tratta delle stesse parole che abbiamo già letto e riletto nelle precedenti relazioni stilate dagli ispettori inviati dal Ministero, è legittimo chiedersi se questa lettura sia destinata solo a noi o se piuttosto non sia il caso che prima o poi altri, dopo averle lette, approntino un qualche rimedio.
E allora, vox clamantis in deserto, ribadiamoli alcuni concetti.
Sono passati 250 anni da quando Cesare Beccaria insegnava che la pena deve essere certa, vicina al fatto ed umana.
Il susseguirsi di indulti, “svuota carceri”, la possibilità di impugnare le sentenze accompagnato dal divieto di reformatio in pejus, della possibilità di proporre ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento che si limita a ratificare un accordo sulla quantificazione della pena che lo stesso imputato propone; il risentire in dibattimento la vittima di un reato, costringendola a rivivere il proprio dolore e raccontare quanto le è accaduto sol perché viene sostituito uno dei componenti del collegio penale perché trasferito ad altro ufficio o perché malato o addirittura morto.
Tutti, si badi, strumenti giuridici possibili e legittimi ma sovente funzionali al maturare di una prescrizione che serve solo a garantire l’impunità a chi delinque ed a diffondere sfiducia nella collettività.
Il risultato è che in Italia il 98 % delle sentenze di condanna di un tribunale sono sottoposte all’impugnazione in appello e poi al ricorso in Cassazione. Dal che discende che il 93% dei condannati in via non definitiva sono ancora considerati imputati in attesa di giudizio.
C’eravamo aspettati le riforme, quelle che davvero chiedeva l’Europa.
Sapete in tutta l’Europa occidentale le sentenze di primo grado sono immediatamente eseguibili ed è per questo che si prevede la presenza obbligatoria dell’imputato perché in caso di condanna questi viene condotto direttamente in carcere. Noi, invece, abbiamo interpretato la presenza obbligatoria dell’imputato eliminando l’istituto della contumacia e prevedendo che la notifica avvenga a mani dello stesso, anche a cura della polizia giudiziaria distogliendola dai compiti cui è istituzionalmente preposta.
Andrebbe ricordato, invece, che la riforma della disciplina della prescrizione è stata sollecitata anche in sede internazionale.
Il termine breve della prescrizione italiana è in contrasto con la Convenzione ONU ratificata dall’Italia nel 2009 ed in tempi più recenti si sono espressi in questo senso sia l’Ocse che il Gruppo di Stati del Consiglio d’Europa contro la corruzione, canale privilegiato per la penetrazione delle mafie nelle istituzioni e nell’economia.
Esclusi i paesi di tradizione anglosassone ove vige il Common Law che sconosce un istituto paragonabile alla prescrizione e guardando ai paesi europei con una tradizione giuridica simile a quella italiana scopriamo che in Francia il termine di prescrizione viene interrotto da qualunque atto di istruzione o di accusa, in Germania è prevista la sospensione della prescrizione alla sentenza di primo grado, in Spagna la prescrizione si interrompe all’apertura del processo.
Per non dire del vulnus della c.d. legge svuota carceri che oltre ad innalzare il tetto di pena atto ad assicurare l’affidamento in prova ai servizi sociali ha aumentato lo sconto di pena da 45 giorni ogni sei mesi a 75. Come dire che tanto più elevata è la pena inflitta tanto più consistente sarà il beneficio che ne deriverà.
Non si disconosce di certo il problema del sovraffollamento delle carceri. E’ vero siamo il paese con il più alto numero di detenuti imputati non ancora giudicati colpevoli in via definitiva. Ma vale quanto ho appena detto con riferimento ai tre gradi di giudizio a fronte della esecutività delle sentenze di primo grado degli altri paesi europei.
E se la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato incompatibile la situazione carceraria italiana con l’art. 3 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo a causa del sovraffollamento non è perché l’Italia è il paese meno garantista d’Europa o in cui vi è abuso di custodia cautelare ma perché le strutture sono inadeguate, vetuste ed il personale carente.
Per non dire poi che numerose sono state anche le sentenze di condanna da parte della Corte Europa dei diritti dell’Uomo a cagione delle lungaggini dei processi. E’ paradossale ma siamo stati condannati anche per l’eccessiva durata dei processi relativi alla c.d. Legge Pinto.
In proposito va evidenziato come l’entrata in vigore del Processo Civile Telematico che è stato indicato come una panacea, grava per come attualmente concepito il giudice di computi che non gli sono propri, quale quello di supplire la funzione tipica del cancelliere oltre che pretendere competenze in materia informatica proprie di personale altamente specializzato.
Quando invece, per potere restituire efficienza al sistema basterebbe intervenire sul codice di rito attraverso radicali riforme quali la possibilità di ricorrere in appello solo in casi specifici e limitati, la revisione della sospensione del processo ai sensi dell’art. 295 c.p.c nonché dell’art. 291 del codice di rito e dell’elenco degli atti che devono essere tassativamente notificati alla parte contumace. Per non dire poi che occorrerebbe restituire alla Corte di Cassazione la funzione sua propria di giudice di legittimità.
E allora,a fronte di tutto ciò, la riforma della giustizia davvero passa e si esaurisce per la responsabilità civile dei giudici? Mi limito a ricordare che nel 1984, in un intervento divenuto tristemente famoso ma purtroppo dai più dimenticato, un “giudice ragazzino” spiegava le ragioni per le quali quello che oggi viene considerato un rimedio altro non è che una mina alla indipendenza del magistrato ed alla eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, al diritto di ogni cittadino di trovarsi innanzi un giudice, terzo, imparziale, indipendente.
Si fa, allora, presto a parlare della crisi della Giustizia. Noi magistrati preferiamo parlare di Crisi di Fiducia nella Giustizia. Il che è decisamente più grave perché riteniamo di vitale importanza che il cittadino creda nella Giustizia perché essa è amministrata nel suo nome. Una società che non crede nella Giustizia si rassegna ad accettare la legge del più forte e la disaffezione corrode le basi democratiche del paese, le basilari regole del vivere civile.
Ci chiediamo quanto abbia contribuito a determinare la crisi di fiducia nella Giustizia la sciagurata opera di delegittimazione condotta negli ultimi decenni, nella insistita opera di discredito che con pervicacia è stata esercitata con un ampio spiegamento di mezzi mediatici.
Ci chiediamo, ancora, senza alcuna vis polemica, quanto contribuiscano certi slogan, certe slide a dare fiducia, ai cittadini, nella Giustizia.
Il rischio è che i cittadini, sì, i cittadini. prima ancora dei magistrati, avvertendo l’ingiustizia del sistema non abbiano più interesse a difendere l’indipendenza della magistratura, strumento irrinunciabile per assicurare la loro uguaglianza davanti alla legge.
Non più tardi della settimana scorsa il Presidente Emerito della Corte Costituzionale Prof. Silvestri, che ringrazio ancora per avere, con il suo contributo, nobilitato la “Giornata della Giustizia” ha definito “sacra ed inviolabile l’indipendenza del giudice che resta solo, nella sua camera di consiglio, con la sua coscienza”.
Si, perché quando una vittima chiede aiuto o un cittadino invoca la tutela dei propri diritti, quando bussa alla porta per chiedere Giustizia possa trovarla nella professionalità e nella indipendenza del magistrato che, si badi, è e resta uomo.
Ci domandiamo allora se esiste un sentiero, per quanto impervio, da percorrere, affinchè la magistratura possa continuare ad assolvere il proprio alto mandato, con umile orgoglio, quell’orgoglio di esercitare una altissima funzione sociale, quale quella di giudicare, in un contesto sempre difficile e spesso assai ostile.
Il sentiero che abbiamo scelto è quello della verità.
Si, della verità perché vogliamo dirlo a tutti, con forza, che sia pure nelle disastrate condizioni in cui siamo costretti ad operare noi magistrati italiani siamo posti in quell’Europa troppo spesso impropriamente evocata, al primo posto nella classifica della definizione del processi penali, al secondo in relazione al settore civile.
Il fatto è che non esiste paese d’Europa che abbia numeri assimilabili alle nostre sopravvenienze, alla imponente domanda di giustizia che nel nostro Paese si registra.
Ed allora occorrerebbe intervenire con un sistema razionale, organico di riforme autentiche e chiare.
L’esperienza però induce al più cupo pessimismo perché il legislatore troppo spesso quando ha legiferato lo ha fatto in maniera caotica, frammentaria, comunque tale da creare un disarmonico guazzabuglio di disposizioni normative.
Mi piace ricordare che nel 1955, Luigi Einaudi così si esprimeva: “Le leggi frettolose partoriscono nuove leggi intese ad emendare, a perfezionare, ma le nuove, essendo dettate dall’urgenza di rimediare a difetti propri di quelle male studiate, sono inapplicabili, se non a costo di sotterfugi e fa d’uopo perfezionarle ancora, sicchè ben presto il tutto diviene un groviglio inestricabile da cui nessuno cava più i piedi…”
Assistiamo ad un dibattito pubblico in tema di giustizia infarcito di luoghi comuni, di pregiudizi, di magistrati come casta, irresponsabili, fannulloni.
Ne abbiamo sentite tante e tante ancora ne sentiremo.
Ma la Giustizia, amministrata nel nome del popolo- conclude Maria Teresa Arena- è di tutti, anche dei rassegnati, degli sterili polemici, degli improvvisati complottisti e degli indifferenti.”

 

(foto Dino Sturiale)

 

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