Trombettista, cantante, compositore e produttore discografico. Roy Paci è un vulcano di musica. Tra gli ultimissimi progetti: C.I.A.T.U., che suona come quel fiato siciliano, pronunciato dalle nonne ai nipoti, realizzato in ricordo del 28esimo anniversario della Strage di Capaci. Insomma ogni scusa è buona per poter parlare di musica con Roy Paci.
Così ci racconta del tour con Manu Chao, di quando ha incontrato Joe Strummer dei Clash, che in qualche modo lo aveva cresciuto a suon di pachanga e di come la Sicilia riesce a contaminare la sua musica, creando una vera miscela di sonorità.
«Per me – ci dice Roy Paci – la musica è come un raggio divino che illumina John Belushi nel film capolavoro “The Blues Brothers”, da subito, dalla prima volta che ho preso in mano la tromba da bambino ho sentito quel raggio su di me, la mia luce era la musica».
Due chiacchiere con Roy Paci
La prima cosa che sappiamo di Roy Paci è che è un formidabile trombettista. Attivo dal 1982, con la sua musica ha girato il mondo, ma Roy cosa ti affascina della tromba? «Non è questione di fascino, si tratta più di amore, amo lo strumento, l’interazione che si crea e la costanza nello studio che necessita. Non puoi mettere da parte lo strumento, rischi di perdere tutto.
La mia Sophia e la musica più in generale, sono il mio modo più diretto e senza filtri di comunicare. La tromba è uno strumento a fiato che sviluppa il suo suono attraverso la vibrazione delle labbra, che viene poi amplificata dal bocchino e dallo strumento, vibriamo insieme, si crea proprio un’unione anche emotiva, il mio suono e il mio timbro sono in cambiamento insieme a me, dipendono da come mi sento. Ogni performance è unica».
E di performance Roy Paci ne ha fatte davvero tante, tra concerti e show televisivi. Hai lavorato con moltissimi artisti, raccontaci un aneddoto che porti sempre con te. «Non potrò mai dimenticare quel giorno, durante il tour “Radio Bemba Sound System” ( tour del terzo album di Manu Chao, uscito a settembre del 2002, ndr.) eravamo in un grosso festival europeo, mi pare olandese, e prima del concerto Manu Chao mi disse se volevo accompagnarlo, doveva salutare un suo amico Joe. Dissi ok, senza pensarci troppo su e lo segui inoltrandoci nella zone tende dei festival grossi, lì un mare di gente, lui li si ferma e chiama e dalla tenda esce Joe Strummer.
Mi si è fermato il cuore per qualche secondo per l’emozione. Joe Strummer dei Clash, padri fondatori del genere del progetto con cui suonavo anche io con i Mau Mau, come pure i Mano Negra, Les Negresses Vertes, eravamo figli diretti della pachanga sonora dei Clash. Questa cosa per me è indimenticabile, lui che esce dalla tenda con una lattina di birra in mano, con uno sguardo super simpatico e un sorriso a 32 denti e io crollato davanti al mio mito incapace di dire una parola». (Foto di Marco Fato Martorana)
I progetti di Roy Paci
Tra gli ultimi progetti di Roy Paci c’è anche C.I.A.T.U. (Collettivo Indipendente Artisti della Trinacria Uniti). Ci racconti un po’ com’è nato e se state lavorando a un disco collettivo? «È stata una bella avventura in un periodo difficile, eravamo in piena pandemia, chiusi in lockdown. Un unicum carico di valore. Ricordo ancora la telefonata da parte delle Istituzioni per realizzare un brano inedito per le celebrazioni del 23 Maggio, per i grandi uomini e donne vittime della mafia.
Un tema delicatissimo e importante che ho sempre trattato con rispetto e coerenza. In tempi record abbiamo scritto a 4 mani con Giuseppe Anastasi il testo di “Siamo Capaci” e con il mio team di Etnagigante, abbiamo deciso di chiamare a raccolta, per la prima volta nella storia musicale siciliana, tutte quelle voci nate in quest’isola, di epoche e generi diversi, ma che continuano a dare lustro e bellezza alla Sicilia nel mondo.
Procedendo alla velocità del suono e muniti di tanta passione siamo riusciti in una settimana a realizzare l’incredibile impresa insieme ad un eccezionale collettivo di cantanti che abbiamo chiamato C.I.A.T.U. (Collettivo Indipendente Artisti della Trinacria Uniti), come il respiro naturale della nostra meravigliosa perla del Mediterraneo. Sono particolarmente affezionato a “Siamo Capaci”, un brano che mi emoziona e che mi lega alla mia terra in una chiave positiva, con un canto di rinascita collettiva e speranza per il futuro della Sicilia, una speranza che rende “capaci di dire no”».
Roy, la tua musica e più in generale i tuoi progetti musicali hanno una forte impronta politica. Si riesce meglio a fare politica con la musica? «I miei progetti più che di politica sono carichi di umanità, questo è quello che penso di fare da sempre, essere in ascolto con l’altro ed amplificare con la musica le necessità, soprattutto facendomi portavoce delle esigenze dei più deboli, di chi è minoranza e troppo spesso rimane inascoltato.
Le mie figure di riferimento sono due: Don Andrea Gallo e Peppino Impastato, due tipi tosti, lottatori entrambi, scomodi e liberi nella loro ricerca di giustizia sociale. Anche io sono un fighter, un trumpet fighter per attitudine e con la mia tromba ho portato solidarietà e vicinanza ad operai, migranti, periferie abbandonate, villaggi in Africa, mettendomi a disposizione per molte azioni benefiche in cui credo, lavorando al fianco di Emergency ed Amnesty International».
La Sicilia di Roy
Quello che in Sicilia secondo te funziona e quello invece che vorresti cambiare? «Parto da quello che vorrei cambiare: l’immobilismo di alcuni siciliani. Vivo da qualche anno a Palermo e mi sono sentito ripetere spesso la frase tratta dal “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa: “cambiare tutto per non cambiare niente”, carica di un misto di rassegnazione e consapevolezza. Credo sia fondamentale mettersi mi gioco in prima persona, per poter superare i punti di debolezza, essere attivisti sul proprio territorio, facendosi promotori reali di azioni volte al miglioramento e non da spettatori. La parte che amo della Sicilia, che mi ha fatto tornare e innamorare ancora una volta di questa terra unica, è l’energia che si respira, la multiculturalità, la nuova generazione senza fronzoli e le contaminazioni che rendono tutto musica».
E quello che vorresti raccontare della Sicilia suonando? «Un’Isola al centro del Mediterraneo, crocevia di culture che hanno reso questa terra unica per le sue tante diversità, uno scrigno di tesori. La mia musica è intrisa di Sicilia, nelle contaminazioni, nella mezcla di sonorità che possono spaziare dal suono del mare ad una marcia funebre, raccontare l’Africa per poi spostarsi verso l’America latina. Tradizione ed innovazione. Radici e libertà. Tante contraddizioni che si fondono per diventare costante ispirazione per i miei suoni».
L’anno che verrà
Progetti per il 2022? «Sono un vulcano di progetti, mi sento molto ispirato in questo periodo e pronto a tornare in studio per mettermi al lavoro. Credo che sarà un anno molto intenso, stiamo lavorando con il mio team su più fronti. Con la mia etichetta Etnagigante, da sempre, abbiamo deciso di investire su giovani talenti e stiamo proseguendo questo cammino che ci sta già dando soddisfazioni. I ragazzi si stanno facendo notare a livello nazionale con la partecipazione a vari premi e stiamo programmando le loro prossime uscite. Il nostro ufficio, con base a Palermo, lavora per avviare reti e progetti con altri paesi del Mediterraneo cosi da creare nuovi scenari musicali».
Roy, siamo ancora in tempo per farci gli auguri di buon anno. Il tuo per i nostri lettori. «Auguro a tutti i vostri lettori di poter tornare prestissimo a sentire la musica suonata dal vivo in sicurezza, al chiuso, all’aperto, in teatro o in uno stadio e sentirsi invasi da questa incredibile joia che la musica sa donare».
(Foto di Antonio Triolo)
(329)