ezio raimondi

.E’ morto Ezio Raimondi, docente che insegnava ad “aprire la mente”

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ezio raimondiIeri mattina è morto, al policlinico Sant’Orsola di Bologna, il professore Ezio Raimondi. E’ una grave perdita, non solo per Bologna, non solo per l’Alma Mater, ma per tutto il mondo della ricerca. Raimondi, docente di Letteratura Italiana, è stato un eccellente promotore di cultura anche negli ultimi anni, con la sua partecipazione al festival di Mantova e, nel corso della sua carriera universitaria, chiunque abbia avuto a che fare con lui ne parla come di un didatta impareggiabile. Per i più, il suo nome è sedimentato tra i ricordi scolastici, in quanto autore di una fortunata antologia di letteratura italiana, ma chi ha avuto direttamente a che fare con Raimondi, il libridinoso (così soprannominato da Guglielmi, o da una studentessa in vena di scherzi: la verità resta a noi ignota, forse), ha avuto la fortuna di poter apprendere direttamente dalle sue labbra parole d’amore per tutto ciò che ha riguardato la letteratura italiana di ogni epoca. Così, intere generazioni di studenti hanno imparato a leggere con uno sguardo più profondo e impegnato i grandi testi, e attraverso il suo primo insegnamento una lunga lista di docenti universitari, oggi in cattedra a Bologna e altrove, hanno tratto nutrimento intellettuale. Un nutrimento che li ha accompagnati fino a oggi.
La biblioteca del dipartimento di Filologia Classica e Italianistica dell’Università di Bologna, da lui fortemente voluta e promossa, conserva oggi 250.000 monografie, e rimane un’istituzione fondamentale per una lunga schiera di studenti che hanno frequentato le sue sale, e che la frequentano tutt’oggi. Chi avesse la ventura di passeggiare nei suoi scantinati, potrebbe incrociare un lungo scaffale, contenente le tesi di laurea che hanno avuto lui come relatore. Basta aprirne una per vedere come Raimondi, perfino sulle copie che sarebbero andate in segreteria, apportava note al testo. Da tutto ciò si evince la figura di un uomo che andava fino in fondo nel proprio lavoro: un lavoro da lui percepito come una missione.
Chi si ritrova a leggere una lista della sua produzione scientifica non può non restare stupito: da Codro a Manzoni, dal Rinascimento ai contemporanei, Raimondi ha praticamente studiato, ad altissimi livelli, la letteratura italiana di ogni epoca. Inoltre, cosa assai rara per i suoi tempi, parlava un tedesco fluente, il che gli permise, sin dall’inizio della carriera, una conoscenza diretta dei grandi testi prodotti in area germanica. Fu infatti uno dei primi in Italia a leggere l’opera di Curtius, Letteratura europea e medioevo latino, pubblicata nel 1948 in tedesco, oggi largamente conosciuta anche nel nostro paese ma tradotta solo nel 1992.
I suoi testi, uno su tutti “Il romanzo senza idillio”, saggio fondamentale sui Promessi sposi, sono tutt’ora libri di insegnamento fondamentali in ogni università che tratti materia di Italianistica.
Ora è giusto, per serbare memoria, pensare all’esempio di Raimondi come qualcosa che può aiutare a rilanciare un mondo della ricerca che ormai da troppi anni soffre: quello della ricerca in area umanistica. Un saggio su Manzoni non cambia certo le sorti di un paese, ma contribuisce certo a educare le menti, ad aprirle, a renderle disponibili. Questo ha fatto Raimondi con coloro che lo hanno avuto come maestro e che non hanno poi seguito la carriera universitaria.
Se c’è una cosa che Raimondi ha insegnato meglio, attraverso i suoi scritti e attraverso la parola viva, è che bisogna aprire la mente. Non è necessario seguire sempre un percorso dritto: facendo qualche passeggiata appena fuori dalla via maestra è facile, se si ha il coraggio necessario, incontrare qualcosa di diverso. Quella diversità che aiuta ad avvicinarsi alla verità.
Oggi via Zamboni, sede dell’Università, è in festa: la primavera ha portato la gente in strada, gli studenti festeggiano in modi grotteschi le proprie lauree. Ogni tanto si incrocia il volto di qualche professore che lo ha conosciuto, che è cresciuto con lui. Oggi via Zamboni è una metafora della vita che si muove dentro l’Università, perché due percorsi di natura diversa hanno trovato il loro compimento: la vita di un uomo che ha dato tutto all’insegnamento, e il percorso formativo di alcuni studenti incoronati d’alloro.
C’è da sperare che questa gioia e questa serietà, quest’amore per lo studio e questa vita che scorre per le strade, diventi palpabile, si tramuti in una proposta politica che possa dare espressione più compiuta alla nostra Università, che ha raccolto e ha lasciato operare personalità come Raimondi e che, se non cambia rotta, rischia di non poter più formare persone che uniscano l’amore per la disciplina alla perizia e all’attenzione necessaria alla ricerca.

Saverio Vita
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