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“Mari”: uno spettacolo alla ricerca di ciò che le parole non riescono a spiegare

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tn P1080426tn P1080424Intensamente lirico e intimo Mari, lo spettacolo di e con Tino Caspanello e una bravissima Cinzia Muscolino, andato in scena ieri alla Laudamo, che celebra quest’anno il suo decimo anniversario e che ieri in contemporanea è stato rappresentato anche in Francia dalla Compagnie La Strada de Troyes

Rappresentazione che nel 2003 ha vinto il Premio speciale Giuria Riccione e che a Messina si è svolta nell’ambito del progetto “La Prima Volta-Rassegna teatrale di Opere Prime”, organizzato da Gigi Spedale, Dario Tomasello e Vincenzo Tripodo.

In una scena nuda, condita solo dalla voce, dalle espressioni, dalle pause dei protagonisti, due solitudini si incontrano in riva al mare: un uomo e una donna affannati nell’ansiosa ricerca di quelle parole adatte ad esprimere pensieri “indicibili”, la cui natura emozionale e passionale rende complicata — a tratti quasi impossibile — una traduzione in termini. Il lirismo che caratterizza la messa in scena si gioca tutto sugli scambi di battute tra moglie e marito, e nelle pause, nei silenzi, in una timida gestualità che sorprendentemente esprime al meglio la tensione amorosa che li impegna in un’incessante danza che si ripete ancora e ancora. Come in un composizione musicale, le pause concorrono all’importante scansione del tempo e partecipano alla costruzione di senso.

Mari si presenta come fosse un passo a due, un movimento armonico giocato però sul “campo di battaglia” del linguaggio, di un dialogo fatto di battute brevi in dialetto messinese. Scambi verbali e silenzi si alternano per tutta la durata della rappresentazione in un andirivieni che non a caso si costruisce sullo sciabordio del mare, che avanza e si ritira, si avvicina e si allontana. Una moglie sempre in procinto di andare e lasciare il marito alla sua pesca silenziosa e solitaria in un mare nero, in una notte buia, ma che tradisce il desiderio di restare, di instaurare un’intesa che possa andare oltre il limite pratico della quotidianità. Un marito, combattuto tra la volontà di indugiare nella sua solitudine e l’ansia di aprirsi a una donna che gli appare ora in una veste del tutto nuova.

Alla fine, su quella spiaggia notturna, cornice del loro timido e tuttavia testardo tentativo di guardarsi dentro, i due approdano a una sorta di “rivelazione” che non è frutto di uno stravolgimento totale dei personaggi: il velo della stanca quotidianità si squarcia cedendo il passo a un cambio di prospettiva, fosse anche per quell’unico attimo. Pur mantenendo salda la loro coerenza, l’essere riusciti a osservarsi da un altro punto di vista, insolito, gli consente di abbandonarsi al mare aperto delle loro sensazioni e di percepire finalmente ciò che forse, fino a quel momento, avevano solo creduto di vedere; complice anche il ritrovato coraggio di lasciarsi andare in quella distesa misteriosa e ignota che è il mare dei sentimenti e dei pensieri.

Delizioso, a tratti ironico, delicato e avvolgente: questo è il Mari che ieri è andato in scena alla Laudamo grazie alla magistrale interpretazione di due bravi e convincenti attori.

 

Giusy Gerace

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