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Ssssss…passa la signora in Suv

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fondamentalmente messinaIn ogni città ci sono categorie e tipologie di persone, ma devo dire che mai come a Messina queste sono stigmatizzabili e distinguibili. Tirandoci fuori dalla polemica fra accorintiani buoni e accorintiani cattivi, fra commercianti isolati e commercianti isolani, sono quotidianamente colpita da una categoria sociologica in espansione: le signore-in-Suv.
Chi pensa che basti andare in una concessionaria per entrarne a far parte si sbaglia di grosso. La signora-in-Suv è una tipologia che prescinde dall’automobile, che non è sufficiente a renderla tale. Come per le confraternite, la massoneria, le rappresentanti Avon, ci vuole molto di più, ben altre qualità per essere ammesse. Anche se io cambiassi la mia Torpedo blu per un macchinone del genere, non potrei definirmi parte di questa schiera, perché, ahimè, non ne possiedo la stoffa, gli elementi fondamentali.
Se sei in coda nel traffico e di fronte a te si staglia la Costa Concordia su due ruote, basta scrutare attraverso i vetri fumè per scorgere la signora-in-suv. È una portatrice sana di acconciatura perfetta. Sia che ti si manifesti un impeccabile biondo cenere ringiovanente, un liscio scuro che batte l’umidità, o una cascata di boccoli naturalissimi, la sapiente mano dell’esperto si riconosce. La sottoscritta, con l’elastico di spugna a raccogliere capelli secessionisti, si chiede come si possa essere così impomatate nelle prime ore del mattino, dato che ogni parrucchiere che si rispetti a quell’ora non ha neanche preso il caffè. Giungo alla conclusione che la signora in questione in realtà tenga un parrucchiere rinchiuso e incatenato, magari in cantina, e lo costringa all’alba ad intervenire sulla propria chioma.
Altra caratteristica è la lentezza con cui deambula per le vie della città. La signora-i-Suv non ha fretta. Probabilmente è una libera professionista, avvocata o architetta, che si appalesa nello studio, modernamente arredato, quando le altri comuni mortali, in Suv o Panda che sia, sono alla terza pausa caffè. Spesso non lavorano perché si occupano dei figli. Noi, madri lavoratrici, dei figli non ci occupiamo, lasciandoli crescere spontaneamente, come la gramigna.
Non avendo i minuti contati, guidano sedendo sul sedile con una postura strana, leggermente inclinata, come se accavallassero le gambe o avessero problemi di vascolarizzazione rettale. In realtà la posizione è strategica per tenere il telefonino a una distanza regolamentare (mica hanno vent’anni, dopo i quaranta la vista cala) da permettere di leggere i messaggi delle amiche o dell’agopunturista. Se noi donne-non-in-Suv, che la fretta ce l’abbiamo nel dna, che stringiamo lo sterzo come fosse un kalashnikov, che potremmo guidare anche con i denti per quanto ci girano, osiamo far loro presente – con un leggero colpo di clacson – che un ufficio, una scuola, una banca o un qualsiasi luogo emissario di buste paga ci attende, le signore si offendono. Risentite, mollano i l telefonino e accelerano, indispettite dalla nostra pressione psicologica, guardandoci in cagnesco dallo specchietto retrovisore. Oppure si rammentano dell’appuntamento dall’estetista e affondano il piede sull’acceleratore. Guai a sorpassarle: ti guardano dall’alto in basso (materialmente lo possono fare), come se guidassi un go kart in tangenziale.
Il parcheggio è un altro problema. La loro macchina è progettata per la doppia fila. Non ho mai visto un Suv regolarmente parcheggiato. Mi aspetto che il comune crei degli stalli appositi, magari delineati da strisce rosse, a scacchiera, accanto a quelle blu. Parcheggiato il mezzo, possono scivolare dal loro abitacolo sulle loro sneakers, abbinate alle borse griffate. Già, perché le signore, i tacchi li indossano solo dopo le 18. In orario diurno sentono la necessità di mostrare il proprio dinamismo facendo uso di scarpe comode, jeans push up e foulard grandi da poter risolvere il problema della copertura del S. Filippo, oltre ad una serie di bracciali ciondolanti e tintinnanti che riproducono uno scampanellio inquietante. E grandi occhiali scuri – anche con la grandine – per proteggere le loro sopracciglia scampate all’abuso di pinzette.
Ovviamente non hanno il problema di vestirsi alle sette di mattina, consapevoli che quello che indossano le accompagnerà fino all’imbrunire. A bordo del loro Suv non conoscono difficoltà e affrontano il traffico per rientrare nelle loro dimore, raccomandare ai bambini l’importanza dei legumi e degli omega 3, e adottare una mise più adatta all’orario pomeridiano. Per loro il concetto di pausa pranzo è legato al panino che mangiano i piastrellisti che stanno rifacendo i bagni nella casa al mare, o all’ora in cui è più comodo fare la manicure. Non esiste pausa per le signore-in Suv; pronte a riaccomodarsi sui loro salotti mobili per una nuova avventura: il pilates non può aspettare.

Giusy Pitrone

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