E arrivò il giorno del rientro. Il contraltare del 1° maggio è il 7 gennaio, data in cui la maggior parte dei lavoratori torna a piegarsi sotto il peso dell’economia di questo paese. Ma non solo, è il giorno del risveglio, della caduta delle utopie: si prende atto dei danni lasciati dalle feste sul proprio girovita e sul proprio estratto conto. Non si può dire certo che io viva bene questo rientro – dopo aver costatato danni ingentissimi in entrambi i campi – ma, contro ogni pronostico, supero indenne la giornata lavorativa e mi trascino stancamente a casa sui miei tacchi traballanti, pronta a dichiarare guerra all’albero di natale e decorazioni vari, che da questo momento in poi mi provocano l’orticaria, come i golfini d’angora ad agosto. La giornata riserva ancora delle sorprese però: una busta bianca giace nella cassetta della posta. La missiva mi chiama gentile contribuente. Trovo che sia molto carino che venga riconosciuto da qualcuno il mio contributo al bene di questa città. Trovo meno carino che mi si chieda una cifra pari a un quarto del mio stipendio. In 3 comode rate però, di cui una scaduta da quasi un mese. E io che pensavo che la Tares di cui tutti parlano fosse un nuovo locale con musica dal vivo fino a tarda notte. Ci si vede stasera alla Tares! Questo termine spagnoleggiante è quantomeno più carino del precedente, che richiamava l’immagine un formaggio sardo. Cerco di non farmi prendere dal panico e mi interrogo sulle variabili che hanno determinato questa cifra. Per la prima volta gioisco del fatto di vivere in 60 mq, ma mi chiedo, cara Tares, se la mia casa fosse stata più grande, perché avrei dovuto produrre più rifiuti? Certo, ci sono. In un appartamento di 40 mq saremmo sicuramente stati più stretti e sarebbe nata l’esigenza per me e mio figlio di dimagrire, per poter almeno soggiornare entrambi nella stessa stanza: ergo, mangiando di meno, avremmo prodotto meno immondizia. A supporto di questa mia intuizione sul legame tra importo e metratura dell’abitazione, penso che per permettermi l’affitto di un appartamento di 120 mq, avrei dovuto guadagnare di più, e avrei avuto ovviamente molte più scatole di scarpe o cartellini d’abiti da smaltire. Arguta la signora Tares. Non le sfugge nulla. Le è sfuggito il pesce. Non siamo in due, cara mia, bensì in tre, perché Nino, il pesce rosso, ha il suo bel consumo di immondizia ogni volta che cambio l’acqua con l’ausilio di bicchieri di plastica e guanti in lattice. Comunque, il problema c’è, lì, nero su bianco, per cui indico una riunione di famiglia con mio figlio. All’ordine del giorno: ridurre le spese, ridurre le calorie e ridurre la produzione di rifiuti. Dopo l’ultimo conguaglio sulla bolletta dell’energia elettrica, guarita dal lieve malore che mi ha colpita, sono riuscita a ridurre i consumi, creando in casa un’atmosfera new age con l’uso delle candele, temprando il mio carattere al freddo di una casa non riscaldata e rassodando la pelle con l’acqua fredda. Allo stesso modo, quando ho superato la soglia di due milioni di minuti di conversazione al telefonino, ho smesso di chiamare chiunque, facendo squilli a destra e a manca (puntualmente ignorati). Non vedo perché io non possa fare lo stesso con la Tares. In sintesi, se pago troppo di luce, scelgo di stare al buio, se pago troppo di telefono, non chiamo più nessuno, se non posso permettermi di pagare tanto, signora Tares, non rifiuto più. Mi rifiuto di rifiutare. Spiego a mio figlio il mio piano: riempiremo le tasche, lo zaino di scuola e la mia borsa di tutto quello che sarà necessario gettar via, per poi abbandonarlo con nonchalance nei cestini di scuola o in ufficio. Il resto lo conserveremo in casa. Butterò via il meno possibile, fino a quando l’ufficio igiene non farà irruzione in casa mia, magari con la troupe di Accumulatori Seriali. Scriverò una lettera di risposta a questa sfrontata e sfacciata Tares, spiegandole che non intendo avvalermi del servizio rifiuti, pertanto, sebbene sia lusingata del fatto che mi venga consentito di saldare il tutto in comodissime rate di importo equivalente a una seduta di parrucchiere, estetista, massaggiatore shatsu e un giretto da Zara, declino l’offerta. Grazie mille, signora Tares, non ho bisogno di lei. Non lo prenda come un rifiuto.
Giusy Pitrone
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