Messina città d’Europa, che dico, del mondo, perché il nostro proverbiale cosmopolitismo ha subito un’impennata grazie alla giunta Accorinti. Siamo variopinti, siamo allegri, siamo pervasi da un forte spirito di fratellanza. Perché gli stranieri non si limitano a star bene da noi, sono strafelici. Prendiamo i profughi, ospiti delle tendopoli, che ai semafori improvvisano dei veri e propri passi di danza degni del moonwalk del compianto Michael Jackson, o giravolte a braccia aperte simili a quelle che fa Barbara D’Urso a inizio trasmissione. Parliamoci chiaro, a Messina ci preoccupiamo del benessere dei nostri fratelli , non solo in questa vita, ma pure nell’altra. Ci preoccupiamo dell’eterno riposo dei musulmani, pure se ciò dovesse significare tenerci a casa i nostri di defunti, ché alla fine tutti abbiamo una cantina, un garage o un congelatore bello spazioso. Nella nostra città gli stranieri non sono ospiti: pensiamo alle popolazioni nomadi che a Messina smettono di esserlo, agli Srilankesi che hanno occupato un intero quartiere, tanto che è più facile trovare un italiano in Libia in questo periodo piuttosto che in via Placida, ma soprattutto ai Cinesi, i veri imprenditori di questa città.
I Cinesi meritano un discorso a parte poiché possiedono delle doti uniche. Innanzitutto sono quasi invisibili. Qualcuno li ha mai visti in fila alla posta? Al supermercato? Al cinema? Nel traffico? In farmacia? Da uno straccio di medico? No, mai. Ora, a meno che non ci sia una chinatown parallela nei sotterranei dei loro esercizi commerciali, l’unica soluzione è che, come l’inchiostro simpatico, siano visibili solo alla luce dei neon dei loro negozi e ristoranti. E che evaporino fuori di essi. Forse non esistono. E lo fa pensare il fatto che non emettano suoni. Provate a fare un giro in un loro negozio; aggiratevi fra le maglie in acrilico altamente infiammabile e i giubbotti in pelo di animale sospetto. Vi ritroverete alle spalle uno di loro, senza aver avvertito neanche un minimo rumore di passi, né un respiro, ma solo uno sgarbato “taglia unica, non entlale te”, mentre due occhietti a mandorla fissano schifati le dimensioni del vostro mediterraneo fondoschiena. Provate pure a mettergli uno specchietto sotto il naso, avrete la prova che non respirano come noi, ma probabilmente hanno delle branchie invisibili in qualche altra parte del corpo.
Se andate al ristorante cinese sperando di avere delucidazioni circa i piatti e i loro ingredienti, vi sbagliate. Uno di loro si appaleserà col taccuino e la matita, ma non proferirà parola. Neanche quando insisterete col dire che se malauguratamente doveste ingurgitare dei peperoni, morirete di shock anafilattico con plateali convulsioni. Non gliene frega niente, mangiate e levatevi dai piedi. E non solo: fatelo in fretta, che altri aspettano il tavolo, usate la stessa forchetta dall’antipasto al dolce, che non si possono lavare centinaia di posate a sera, e aspettatevi le portate in ordine sparso, che il cuoco non può mica riposare nell’attesa che voi finiate lo spaghetto di soia. Togliamoci pure dalla testa che quelli siano i piatti tipici della cucina cinese. Loro non mangiano affatto quella roba, ma si tramandano da padre a figlio, da una generazione all’altra di ristoratori, i menù che i fessi italiani amano identificare come cibo cinese.
La verità è che mentre i nostri negozi chiudono come se fosse tornata la peste nera della fine del quattordicesimo secolo, loro non solo resistono, ma aprono centri commerciali e megastore, immuni a qualsiasi crisi e a qualsiasi campagna diffamatoria ai loro danni. Non serve portare alla luce testimonianze di aggeggi elettronici soggetti ad autocombustione, di giocattoli che prendono vita e picchiano i bambini, di jeans che dopo il primo utilizzo restano tatuati addosso. Loro non chiudono. Mai. Non conoscono orari né festivi. Non sanno cosa sia la stanchezza. Sono felici e operosi. Ma hanno un altro segreto.
Provate a superare l’odore di catacomba e acquistate nei loro negozi. Andate alla cassa con le braccia cariche. Prendete anche la commessa italiana, sottopagata e con l’aria terrorizzata che c’è sempre nei loro locali. Pagate. E fissateli negli occhi. Dopo 5 minuti di silenzio, parleranno. “Vuole scontlino?”. Ma sì che sempre serve un pezzo di carta dove arrotolare la chewingum o appuntare il numero di chi ci ha appena tamponato. A fronte di una spesa di circa cento euro (e sicuramente avete preso anche la commessa), riceverete uno scontrino di quindici. Non dite niente, tanto è inutile. Potete protestare e affermare di essere figlie, mogli, cugine di finanzieri. Ne ricaverete solo una sfilza di imprecazioni in lingua originale. Nei ristoranti è ben diverso. Lì a tutti viene consegnato lo scontrino dettagliato, solo che campeggia la scritta NON fiscale. “Ma pelché volele scontlino fiscale??”, ti urlano contro,come se tu avessi chiesto la foto autografata del Dalai Lama. Come se avessi pagato la cena coi soldi del monopoli. Perché una tale richiesta è assolutamente offensiva per loro, che evidentemente sono obiettori fiscali. E vanno rispettati, come rispettiamo le religioni e le usanze dei nostri ospiti. Anzi, noi sciocchi messinesi, strozzati dalla crisi, prendiamo esempio da questi geni dell’imprenditoria.
Giusy Pitrone
(872)
Brava Giusy (anche se non ti conosco). Avrei qualcosa da ridire su musulmani e Srilankesi, ma mi trovi perfettamente d’accordo sui cinesi. Sembra esserci una mano o un uomo invisible che guida ed aiuta questi esseri diabolici. Io non temo nè i musulmani, nè gli Srilankesi, ma i cinesi si. Vorrei chiedere agli ispettori dell’Agenzia delle Entrate, ai finanzieri che fanno un mazzo così a chi si permette il lusso di servire dieci caffè e di emettere nove scontrini, magari dimenticando (diciamo così) di emetterne uno. Ma sono mai entrati in un negozio o in un ristorante cinese? Tutto in regola? Sappiamo benissimo che non è così. Basterebbe aspettare fuori da un loro locale (magari in borghese) e constatare quanta gente esce senza lo scontrino, sempre che non ci sia qualcuno (non sappiamo chi, magari quell’uomo invisibile) che li avvisi dell’appostamento. E si, perchè ho la convinzione che ci sia di più di quello che crediamo e vediamo. Le denunce fatte in televisione non producono alcun effetto, alcuna misura di prevenzione, tutto rimane così com’è. E i nostri commercianti chiudono. Booh, mistero! Vietato indagare!