Sulla riforma delle province ritorna Michele Bisignano e sottolinea come una realtà importante in altri Paesi europei sia, invece, svilita a tal punto da avviare il processo di abolizione delle Province.
«Le recenti elezioni – afferma Bisignano – che si sono svolte in Francia hanno riguardato i “dipartimenti”, rapportabili alle nostre demonizzate Province, a conferma che l’esigenza di una realtà territoriale cosiddetta intermedia viene riconosciuta dai maggiori Paesi europei, quali la stessa Francia, l’Inghilterra, la Germania, la Spagna. In Italia, invece, viene perseguito da anni il disegno di abolizione di tali enti che sono stati presentati all’opinione pubblica come una delle principali cause di quella spesa pubblica i cui meccanismi perversi si celano in ben altre realtà».
«Ma tale disegno – prosegue –, fino a ora solo annunciato, si è trasformato in un tentativo di riordino, sia a livello nazionale che regionale, con delle proposte di riforma che, però, non tengono conto di un assunto fondamentale: l’ente intermedio, comunque lo si voglia definire (Provincia, Libero consorzio, Città metropolitana), deve mirare a perseguire quelle che sono definite “politiche di rete” per le aree vaste, a differenza delle politiche di servizi di prossimità alla persona e alla famiglia che sono proprie dei Comuni. Politiche, quindi, significate da una visione strategica che guarda alla pianificazione e programmazione e caratterizzate da un ruolo di coordinamento e armonizzazione degli interessi dei vari territori locali».
«Tale logica pervade, d’altronde – continua –, la nuova legge di riforma in discussione all’Ars e, non solo, attribuisce ai nuovi enti le funzioni delle vecchie province, ma ne individua diverse altre, quali la pianificazione, programmazione, organizzazione e gestione dei fondi europei; il coordinamento dei servizi pubblici locali; il piano strategico territoriale; la supervisione dei piani regolatori comunali; la promozione e il coordinamento dello sviluppo economico-sociale; il coordinamento dei sistemi di informatizzazione e digitalizzazione; la pianificazione, gestione e supporto in materia di formazione; il coordinamento dei servizi riguardanti il ciclo integrato dei rifiuti e il servizio idrico integrato. Servizi e attività che corrispondono alla visione delle politiche di rete di un ente intermedio la cui esigenza viene oggi avvertita come elemento di contemperamento di certe spinte centraliste che possono anche intravedersi nell’istituzione delle authority nazionali nei vari settori».
«Altra esigenza inderogabile dovrebbe riguardare non solo la governance – sottolinea –, che nella proposta in discussione all’Ars prevede l’elezione di secondo grado, non tenendo conto che, dati i ruoli delicati e complessi da svolgere, sarebbe stata più opportuna l’investitura popolare, in un contesto generale peraltro in cui si vanno sempre più restringendo gli spazi di democrazia diretta. Ma anche la governabilità di istituzioni cui sono state attribuite funzioni che abbisognano di tempi medio-lunghi, oltreché di competenze specifiche».
«Tali esigenze – conclude – mal si conciliano con i pletorici organismi previsti, la cui composizione sarà naturalmente condizionata dai localismi e da altre forme di appartenenza, e soprattutto con gli assurdi meccanismi inseriti nella legge che danno la priorità ai ruoli svolti nei Comuni di appartenenza rispetto a quelli ben più impegnativi dei Liberi consorzi e delle Città metropolitane. Questo comporterebbe che le pur importanti vicende dei singoli municipi, come potrebbe essere la sfiducia di un sindaco, condizionino la gestione di un ente di così grande importanza».
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