Il presidente del Consiglio comunale, Giuseppe Previti, ha trasmesso una lettera aperta ai Deputati della Regione Sicilia, all’Unione Province Siciliane e a tutti i dipendenti delle Province della Regione Siciliana per fare il punto sulle problematiche relative all’abolizione Province.
Ecco il testo:
«In questa frenetica corsa alla ricerca dei costi della politica sono entrati, da molto tempo, anche quelli relativi al mantenimento delle Province e, conseguentemente, la necessità di cancellarle. Poche voci — scrive Previti — si sono alzate a difesa dell’ente intermedio, anche se moltissimi, nel privato sono contro tale scelta. Non si capisce poi il perché, quando si diventa Presidente della Regione, si cambia parere. Ricordate il predecessore dell’attuale Presidente. Addirittura è stato Presidente Regionale dell’Unione Province Siciliane e, ovviamente, schierato a difesa delle stesse. Salvo poi cambiare opinione. Non conosco il pensiero dell’attuale Presidente prima che diventasse tale, ma so che le scelte prese sull’onda dell’antipolitica, così repentine, senza che ci sia stato uno studio preciso che interpelli i diretti interessati, senza una seria simulazione sulle proiezioni del risparmio e sui rimanenti costi, senza capire dove va a finire il personale, ma soprattutto che fine faranno i servizi attribuiti per legge alle Province, senza tutto ciò si rischia seriamente di ripetere errori e film già visti (Ato idrico, Ato rifiuti, ecc.). Le Province, inserite nella nostra Costituzione, al titolo V, art.114 (sostituito dall’art.1 della Legge Costituzionale 18 Ottobre 2001, n.3) — continua il presidente Previti — sono elementi fondanti, assieme ai Comuni, alle città metropolitane, alla Regione e allo Stato stesso della nostra Repubblica. L’art. 15 del nostro Statuto Autonomista, al comma 2, prevede che “l’ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui Comuni e sui liberi Consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria”. Successivamente con la Legge istitutiva della Provincia Regionale (L.R. 6.3.1986. n.9) all’art. 3 si stabiliva che i Liberi Consorzi dei Comuni erano denominati “Provincie Regionali”. Oggi solo il cambio di denominazione per buste, carta intestata, insegne, cartelli stradali ecc., costerebbe alle casse pubbliche circa 2 milioni di euro. A carico di chi? La stessa Legge Regionale n. 9 stabiliva una serie di competenze per il nuovo ente, tra le quali la programmazione economico-sociale, vigilanza sulla caccia e le pesca nelle acque interne, costruzione e manutenzione della rete stradale regionale, infraregionale, provinciale, intercomunale, rurale e di bonifica e delle ex trazzere, organizzazione del territorio e tutela dell’ambiente, istituti di istruzione superiore (costruzione, manutenzione, arredo, etc), Parchi e Riserve, costruzione di infrastrutture di interesse sovracomunale e provinciale, polizia provinciale e guardie ambientali, etc. Competenze che dovrebbero essere trasferite, assieme al personale, agli istituendo liberi consorzi. Ma con quale risorse?? Chi pensa che lo Stato ci trasferisca le risorse adeguate è un ingenuo o è in malafede o è uno sciocco. Nell’anno appena trascorso lo Stato ha trasferito al solo Comune di Messina, ben 20 milioni di euro in meno e, quest’anno sarà ancora peggio. Se si pensa che su oltre 8000 comuni solo 114 hanno avuto i bilanci strutturalmente a posto, ci si rende conto della gravità e dell’estensione del problema. Lo Stato a malapena ci trasferirà le risorse per il personale. I Comuni e/o la Regione dovranno fare il resto (Regione che l’anno scorso ci ha trasferito 7 milioni di euro in meno). Molti Sindaci hanno l’illusoria convinzione che acquisendo le competenze,oggi delle Province, potranno gestire ulteriore risorse e servizi per il territorio. È mai successo prima? Ci saranno sicuramente meno occupazione e meno risorse per il già penalizzato territorio. E probabilmente aumenteranno anche i centri di spesa. Un gran regalo alla Lega Nord che vedrà compiuto quanto propugnato. Meno trasferimenti al Mezzogiorno, maggiori (più degli attuali e forse oltre, 75%) al Nord. Eppure la Legge Statale non abolisce né cambia nome alle Provincie, ma si limita ad accorparli in base a dei parametri prestabiliti, territorio e popolazione. D’altro canto cambiare solo nome non serve a nulla. Bisogna, invece, attuare una politica di vero decentramento. Oggi il costo annuale per il mantenimento delle nove Provincie Siciliane, si aggira attorno ai 700 milioni di euro, meno di 1/3 di quanto il governo Monti ha dato al Monte Paschi di Siena. Il decentramento è la parola semplice, ma nello stesso tempo “magica” che consente un vero risparmio con norme meno farraginose ed obnubilanti. E allora, invece di eliminare le Provincie, con prospettive incerte e penalizzanti, aumentiamo la loro competenza, ed anche quella dei Comuni, decentrando uffici e servizi in atto gestiti dalla Regione. Penso a quello che è avvenuto con le Aziende Autonome Soggiorno e Turismo e con gli Enti Provinciali per il Turismo, penso ai centri per l’impiego (nel resto d’Italia sono di competenza dell’ente provincia), agli Iacp, alle Condotte Agrarie, alla Motorizzazione Civile, al Genio Civile, all’Ente Sviluppo Agricolo (Esa), all’osservatorio regionale per le malattie delle piante (nel 2012 la regione ha stanziato 50 milioni di euro per la salvaguardia – non delle famiglie povere – ma delle piante… rare), la ripartizione faunistica-venatoria ed ambientale, l’Arpa (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente), l’Associazione Regionale Allevatori Sicilia, l’Ispettorato del Lavoro, l’Ente Acquedotti Siciliani, e cosi via fino al bonus bebè, l’assegno al nucleo familiare, buono scuola, ecc. I Deputati, chiamati a fare queste scelte — conclude il presidente del Consiglio comunale —, per carità riflettano e riflettano approfonditamente. Si facciano preparare una specie di “business plan”, chi deve fare cosa e con quali risorse. Il rimedio prospettato potrebbe rivelarsi, in tempi medio brevi, peggiore del male che si vuole eliminare. Non portiamo il cervello all’ammasso. La Politica serve a dare risposte ai problemi della Comunità e non a inseguire le mode di chi grida più forte».
(65)