legge elettorale

Legge elettorale, come si vota alle elezioni politiche 2022 con il Rosatellum

Pubblicato il alle

7' min di lettura

Qual è la legge elettorale in vigore in Italia? Si tratta di una domanda tutt’altro che banale e scontata, a un mese dalle elezioni politiche del 25 settembre 2022. Coalizioni, collegi uninominali, listini bloccati, proporzionale, maggioritario, sbarramento: cosa significano tutti questi termini tecnici accostati al sistema elettorale italiano? Occorre fare un passo indietro per comprendere di cosa si sta parlando e, soprattutto, come si vota.

Legge elettorale, come si vota alle elezioni politiche 2022

Immagine di esempio della scheda elettorale per le Politiche 2018 in Italia

Quindi come funziona il Rosatellum? È già stato detto che si tratta di un sistema misto. In particolare, per il 61% dei seggi è previsto un calcolo proporzionale, il 37% sono assegnati in altrettanti collegi uninominali in cui viene eletto il candidato più votato (basta dunque la maggioranza relativa dei voti) e infine il 2% sono riservati alle circoscrizioni estere. Fino al 2020, i 630 seggi alla Camera venivano suddivisi in 386 proporzionali e 232 uninominali, più 12 provenienti dall’estero, mentre dei 315 senatori, 193 venivano eletti nelle liste proporzionali e 116 nei collegi uninominali, a cui andavano aggiunti 4 senatori esteri e i 5 a vita nominati dal Capo dello Stato. Ora che a Montecitorio e a Palazzo Madama gli scranni sono stati ridotti da 950 a 600, la ripartizione è la seguente: i seggi proporzionali alla Camera sono 245, gli uninominali 147 e gli eletti all’estero 8; al Senato si scende a 122 proporzionali e 74 uninominali. Sempre 4 all’estero.

Non sono consentite le preferenze, perciò nei collegi plurinominali – in cui i partiti possono candidare fino a quattro persone – l’elettore, a differenza delle consultazioni locali, per il parlamento europeo o per gli stessi elettori all’estero, non può scrivere nessun nome sulla scheda, ma può sbarrare solo il simbolo del partito. «Ogni elettore – recita il comma 2 dell’articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, aggiornato al 2017 – dispone di un voto da esprimere su un’unica scheda recante il nome del candidato nel collegio uninominale e il contrassegno di ciascuna lista, corredato dei nomi dei candidati nel collegio plurinominale». Il voto alla sola lista lista si trasferisce automaticamente al candidato nell’uninominale e, viceversa, quello al candidato alle liste.

Listini bloccati

Si parla così di liste o listini bloccati, redatti e presentati dalle segreterie dei partiti, non senza generare polemiche. Una persona infatti è candidabile contemporaneamente in un collegio uninominale e fino a 5 proporzionali, ma non può decidere in quale venire eletto. Due esempi recenti potrebbero chiarire questo aspetto. Nel 2018 l’ex sottosegretaria di Stato del Presidente del Consiglio e attuale capogruppo alla Camera di Italia Viva, Maria Elena Boschi, era candidata al collegio uninominale di Bolzano, ma compariva anche nel plurinominale di Messina. Alla fine, Boschi venne eletta a Bolzano. Lo stesso valse per il leader e senatore della Lega, Matteo Salvini, presente come capolista in Lombardia e Liguria, ma eletto in Calabria. Le sezioni locali dei partiti hanno spesso contestato questo modus operandi perché non sempre rispecchia la vicinanza del candidato al territorio.

Sbarramento

Ultimo ma non per rilevanza, lo sbarramento. Lo sbarramento, in tedesco sperrklausel, può essere alto o basso, per i partiti o per le coalizioni, nazionale o regionale. Nei sistemi proporzionali serve per non disperdere eccessivamente il voto tra forze politiche minoritarie. In Italia ne esistono di diversi tipi. Il più importante è quello che i partiti devono superare a livello nazionale per ottenere una quota di parlamentari eletti e corrisponde al 3%, una percentuale che, a seconda dell’affluenza, dovrebbe ammontare a circa un milione di elettori. Tutti i partiti al di sotto del 3% all’interno delle coalizioni, non risultando eletti, assegnano proporzionalmente la loro percentuale di voti agli altri membri della coalizione. Va ricordato che i suffragi conquistati dalle liste con meno dell’1% non vengono considerati ai fini del computo elettorale, finendo così persi. La soglia di sbarramento si alza per le coalizioni (10%) e per i partiti delle minoranze linguistiche (20% su base regionale), queste ultime presenti nei collegi proporzionali in Friuli Venezia Giulia e in Trentino Alto Adige.

La storia della legge elettorale in Italia

L’attuale legge elettorale italiana esiste da quasi 5 anni. Con la legge 165 del 3 novembre 2017, “Modifiche al sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali uninominali e plurinominali”, è stato infatti cambiato il sistema elettorale in Italia. Una riforma che porta il nome del parlamentare che l’ha creata, il triestino Ettore Rosato, da cui è nato poi il calco giornalistico “Rosatellum bis“.

All’epoca il Paese si trovava in una situazione di estrema necessità. Dopo la bocciatura dell’Italicum da parte della Corte Costituzionale, il parlamento si riunì a fine legislatura per accordarsi su una nuova legge elettorale, approvando ad ampia maggioranza il provvedimento promosso dal Partito Democratico allora guidato da Matteo Renzi, con l’opposizione del Movimento 5 Stelle.

La legge Rosato si ispira ai suoi predecessori, essendo un sistema cosiddetto misto, cioè sia proporzionale, sia maggioritario. Fino al 1993 in Italia si votava con il sistema proporzionale: alla percentuale di voti ricevuti corrispondeva proporzionalmente il numero di seggi assegnati ai partiti. Con il crollo dei partiti storici, però, cambiò tutto e nel 1993 l’allora deputato Sergio Mattarella, rispettando gli esiti del referendum abrogativo dello stesso anno, si fece relatore di una legge elettorale maggioritaria con una piccola quota proporzionale: il “Mattarellum”. In origine pensato per superare l’instabilità politica, il Mattarellum durò soltanto una decina d’anni, senza peraltro riuscire a risolvere l’annoso problema dell’ingovernabilità, imputabile più al sistema politico che a quello elettorale.

Nel 2005 il parlamento approvò la legge Calderoli, passata alla storia con il dispregiativo “Porcellum”. La caratteristica principale di questa riforma era il premio di maggioranza assegnato alla Camera e al Senato. Il Porcellum fu a lungo criticato per la sua inefficacia e nel 2014 la Corte Costituzionale lo dichiarò incostituzionale. Da lì in poi un’altra stagione di riforme ebbe inizio, con la legge 6 maggio 2015, n.52, l’Italicum, che introdusse il ballottaggio tra coalizioni, alzò la soglia di sbarramento e garantì il premio di maggioranza. La Consulta non risparmiò neppure questa legge e, dopo un periodo di transizione in cui rimase in vigore l’Italicum con le modifiche della Corte Costituzionale, si arrivò alla legge Rosato, ulteriormente modificata a seguito del referendum costituzionale del 2020 sulla riduzione del numero dei parlamentari.

In conclusione

In conclusione, va comunque fatta una precisazione: in Italia gli elettori non eleggono direttamente il governo. La legge elettorale non prevede l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei Ministri, né tanto meno dei ministri. I governi nascono in parlamento, attraverso le consultazioni tra le forze politiche e vengono nominati dal Presidente della Repubblica. Il Rosatellum si limita a disciplinare l’elezione dei membri del parlamento, chiamati durante il loro mandato quinquennale a dare o meno – dunque a legittimare – la fiducia ai governi. Questa è la base del parlamentarismo.

(1612)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error: Contenuto protetto.