Le elezioni politiche siciliane non hanno smosso solo la stampa nazionale, che ha reso protagonista la nostra isola come poche volte accade. I più famosi quotidiani del mondo, infatti, hanno fatto le proprie considerazioni sulla vittoria di Crocetta e sul boom del Movimento 5 Stelle.
In Gran Bretagna, il Guardian ha titolato “La Sicilia pronta per il primo governatore gay” e ha descritto Crocetta come «un politico che si è fatto un nome scendendo in campo contro la mafia». In Francia, il quotidiano Le Monde ha sottolineato «l’impressionante» percentuale del M5S e un voto che «si annuncia come un colpo al partito di Berlusconi». Le Figaro e Liberation hanno evidenziato come «il partito di Berlusconi non segue più il suo leader» e come le elezioni in Sicilia rappresentano «una sconfitta storica» per il Pdl. In Germania, il quotidiano Tagesschau si è soffermato sull’astensionismo: “Dai siciliani poco interesse per le elezioni”.
Ma cosa ha detto di noi la stampa statunitense, che in queste settimane è impegnata a commentare un’altra imminente elezione, quella del nuovo presidente degli Usa? Il quotidiano che più sembra essersi occupato del voto in Sicilia è stato il Financial Times. Il 28 ottobre il celebre quotidiano economico-finanziario ha titolato “Roma ha paura dell’onda d’urto partita dal voto in Sicilia”: «Se l’Italia è lo specchio dell’Europa – si legge nell’articolo −, con un prosperoso nord che trascina un decadente sud, vittima di corruzione e recessione, allora la Sicilia è la sua Grecia. È un paragone che gli stessi abitanti dell’isola fanno, dal momento che la percentuale di disoccupazione è il doppio rispetto alla media nazionale, i consigli comunali vanno in bancarotta sotto la politica di austerità imposta da Roma e Bruxelles, ma i politici locali, sostenuti dalla mafia, continuano a riempire le loro tasche con soldi pubblici».
Sempre il Financial Times, il giorno successivo, quindi 24 ore prima dell’inizio delle votazioni in Sicilia, si è soffermato sul personaggio Grillo (o meglio Mr Grillo, come scrivono i giornalisti americani). “Gli elettori in Sicilia lasciano al comico l’ultima risata”: Guy Dinmore e Giulia Segreti esaminano il fenomeno del Movimento 5 Stelle definendolo «un nuovo partito contro la classe dirigente, nato da un comico che si è autoproclamato una forza politica credibile dopo aver cavalcato l’ondata di rabbia verso l’attuale sistema politico e il governo di austerità». E, soffermandosi sul leader del movimento, il Financial Times – che usa spesso l’appellativo di “comico” parlando di lui – ha sottolineato che è vero che Mr Grillo ha raccolto larghi consensi in Sicilia spendendo solo 25.000 euro, cifra di molto inferiore rispetto alle risorse spese dai maggiori partiti. Ma in un articolo del giorno seguente (“Un buffone in Sicilia”), a elezioni iniziate, Guy Dinmore ha scritto: «Mr Grillo è una calamita per tutti gli arrabbiati, con il suo spirito retorico. Il suo programma attira il sentimento degli elettori, con la proposta del taglio degli stipendi dei parlamentari e del divieto agli indagati di rimanere in Parlamento. Ma il Movimento 5 Stelle non offre soluzioni coerenti ai problemi italiani. Mr Grillo chiede un referendum sull’euro ma non dice come effettivamente bisognerebbe gestire l’uscita dalla comunità economica europea. Il suo piano di riduzione del debito pubblico attraverso tagli imprecisati è troppo vago per essere preso sul serio. Senza una tangibile riforma dal sistema politico attuale, non bisognerebbe sorprendersi se gli elettori continuano a dare a Mr Grillo il beneficio del dubbio». Il giornalista ha concluso affermando che senza queste adeguate riforme da parte delle parti politiche, dal decreto anti-corruzione (approvato due giorni fa) e il divieto di eleggibilità per i condannati, «l’élite politica italiana rimarrà il più efficace “galoppino elettorale” per il buffone che tanto disdegna».
Da questi stralci che abbiamo riportato, si evince che Beppe Grillo viene spesso definito come “comico”, se non addirittura “buffone”. Forse i giornalisti americani non sono a conoscenza del vademecum del perfetto giornalista che la sezione milanese del M5S ha inviato pochi giorni fa alla redazione del Corriere della Sera. Nel comunicato spedito al quotidiano di via Solferino si legge: «È necessario che il vocabolario di riferimento usato dai media sia coerente e corretto». Per questo motivo, continua la predica, «è indispensabile che tutti voi giornalisti, redattori, caporedattori e direttori poniate la massima attenzione a evitare parole che non appartengono alla realtà del movimento». Si deve scrivere “movimento” non “partito”, “portavoce” non “leader”, “attivisti del Movimento 5 Stelle” non “grillini”, perché «la parola “grillini” è scorretta e anche un po’ offensiva, in quanto riduttiva e verticistica». Sperando di non aver offeso nessuno riportando quanto scritto dai quotidiani stranieri, ci chiediamo: nella riforma del vocabolario politico è forse prevista anche la modifica del cognome, per esempio da Grillo a Tirannosauro? Fa un effetto diverso, dà un’idea di forza e incisività. In ogni caso, attendiamo eventuali nuovi dettami linguistici, così nei prossimi articoli faremo i bravi!
Alessia Abrami
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