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Libera espressione, non libera offesa

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charlie-hebdo1Dopo lo sgomento e l’angoscia che tutti ci ha attanagliato, immediatamente dopo i tragici attentati di Parigi, la cui condanna non può che essere e rimanere la più ferma e la più incondizionata, ha cominciato tuttavia a farsi strada in me – e ritengo anche in molti altri – una più ampia riflessione sul tema della libertà di stampa e di satira. Entrambe certamente una conquista irrinunciabile del mondo occidentale, ottenuta dopo secoli di lotte spesso macchiate dal sangue di “coraggiosi”. Mi sono chiesta se questa libertà di stampa e di satira dovesse comunque autoimporsi dei limiti che siano almeno quelli del buon gusto e del rispetto delle altrui sensibilità. Ed ecco che, del recente passato, mi sono tornati in mente innumerevoli episodi nei quali, sotto la bandiera della libertà di stampa o di satira, si sono perseguiti fini molto meno nobili, non facendo molta distinzione fra notizie vere e notizie false, senza alcuna considerazione umana per le persone coinvolte e per le loro famiglie. Ora, non sono così ingenua da ritenere che, se non ci fossero state o non ci fossero più le vignette satiriche del settimanale francese o di altri giornali nel mondo occidentale, il problema del fondamentalismo islamico sarebbe risolto (semmai bisognerebbe indagare più a fondo sui mali della nostra società, sulle diseguaglianze, sulla povertà, sugli squilibri sociali, ecc.), ma non ho potuto non chiedermi se pubblicare vignette che dissacrano una fede religiosa, peraltro così fortemente sensibile, con un nervo chiaramente scoperto, sia così essenziale per affermare i nostri principi di libertà di uomini e donne del terzo millennio. Il tutto, peraltro, in un passaggio storico in cui enormi sono i problemi per una corretta integrazione fra mondo occidentale e mondo islamico e in cui si potrebbero evitare non indispensabili provocazioni che finiscono per costituire un comodo pretesto per menti esagitate e criminali. Nel bel mezzo dell’effluvio di voci e dichiarazioni tutte a favore della più ampia e assoluta libertà di satira (a parte qualche isolata posizione non in linea, vedi Ida Magli e Massimo Fini), avevo finito quasi per pensare che forse i miei dubbi erano fuori dal mondo. Sino ad oggi. Oggi che leggo una dichiarazione del Papa, che rispondendo a un giornalista che pensava forse di metterlo in difficoltà, ha detto …papale papale: “La libertà di religione” è essenziale e “non si uccide in nome di Dio”. “La libertà di espressione è un diritto, ma anche un dovere”. Il “miglior modo per rispondere” alle minacce di attentati è “essere miti, umili e non aggressivi”. Ma ha anche aggiunto: “Se il mio amico Gasbarri dice una parolaccia sulla mia mamma, si aspetti un pugno”. Libertà d’espressione sì dunque, ma ci sono dei limiti: “La fede non sia ridicolizzata. Non si ‘giocattolizza’ la religione degli altri”. E ha concluso: “Ognuno ha non solo la libertà o il diritto ma anche l’obbligo di dire quello che pensa, se ritiene che aiuti il bene comune. Un deputato, un senatore, se non dice qual è la buona strada non fa bene. Avere questa libertà, ma senza offendere, perché è vero che “non si può reagire violentemente” ma “non si può provocare, insultare, ridicolizzare, la fede degli altri”.
Parole chiare, quelle di Bergoglio, che non hanno bisogno di tante spiegazioni. Direi parole coraggiose di un uomo che non teme di dire quello che pensa anche se non è in linea con quello che pensa (o dice di pensare) la maggior parte degli uomini politici,opinionisti,giornalisti ecc. del mondo occidentale. Parole peraltro sensate, atte a unire e non a dividere, animate dal rispetto che si deve ad ogni essere umano, anche a quello più lontano dalle nostre idee politiche o religiose che siano. Parole che non si possono ignorare e alle quali nessuno,almeno fino ad ora, ha ritenuto di potere concretamente controbattere.

Cinzia Coscia

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