allarme rosso fiumicino

Io, alle prese con un “allarme rosso” all’aeroporto di Fiumicino. Cronaca di 120 minuti di terrore

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allarme rosso fiumicinoMercoledì, 14 gennaio 2015, ore 20, aeroporto Leonardo da Vinci, Roma-Fiumicino. Sono a bordo dell’aereo proveniente da Milano, appena atterrato. Sono riuscita a trovare un volo che arrivasse ad un’ora decente per poter cenare con calma con mio padre, che a Fiumicino ci arriva su un aereo in arrivo da Catania, per poter cenare insieme. Due messinesi consanguinei che s’incrociano tra un’andata e un ritorno.

Miracolosamente, il mio volo è atterrato in orario. Spero anche quello di mio padre. Ancora a bordo, motori appena spenti, slaccio la cintura e accendo il cellulare. Strano, non c’è alcun accenno all’apertura delle porte. Passati alcuni minuti, qualche passeggero comincia a fare domande. C’è chi dice ci sia stato un incidente (aereo in fiamme in pista?!); altri ipotizzano un guasto sul nostro aeromobile; altri ancora sono pronti a inveire contro la compagnia di bandiera. Tutti, comunque, cominciamo ad essere visibilmente preoccupati. Dopo poco, l’iniziale brusìo dei miei compagni di viaggio si trasforma: con toni isterici, da vero panico, chiedono spiegazioni agli assistenti di volo, che si limitano a dire che per motivi di sicurezza non possiamo raggiungere l’area di parcheggio. Il tempo passa, minuti, un’ora, sento al cellulare mio padre: anche lui bloccato sull’altro aereo, e come il mio, come il suo, altri 8/10 aerei sono fermi in pista.
Qualcosa è successo, appare ovvio a tutti, e i fatti recentemente accaduti in Francia, le  minacce terroristiche, non ci aiutano nell’attesa all’aeroporto della città descritta come prossimo loro obiettivo. Abbiamo paura, tutti. Poi, finalmente, alle 22 circa ci danno l’ok a scendere dall’aereo. Vedo mio padre, anche lui “liberato”, un abbraccio trafelato e via di corsa dal Leonardo da Vinci: per capire c’è tempo. Capiamo poco dopo, sul taxi che ci porta al ristorante, ne parlano Tg e Web: Fiumicino era in “allarme rosso”, pericolo bomba in aeroporto.
Sgomento, sollievo per essere lì, ancora vivi, poi la spiegazione. Qualche ora prima era accaduto che un passeggero “dall’atteggiamento sospetto”, avesse dichiarato ai suoi vicini di posto, mostrando un contapassi, che quell’aggeggio serviva “per far saltare in aria l’aereo”. I “destinatari della rivelazione”, atterriti, avevano dato l’allarme.
E via con le procedure antiterroristiche. Sempre dal taxi, guardando su internet ho anche  scoperto che si trattava di un falso allarme e che in aeroporto non c’era alcun ordigno esplosivo. Era solo la burla di un cretino, certamente l’unico passeggero che tra le 20 e le 22 di mercoledì 14 gennaio 2015, nell’intera area del Leonardo da Vinci, appariva tranquillo.

La burla è riuscita nell’era del terrore versione 2.0. Un terrore certamente diverso da quello provato in guerra al tempo dei miei nonni, ma TERRORE. C’ero e l’ho provato come tutti.
In metropolitana, a Milano, la mattina per andare in ufficio, in piazza il sabato pomeriggio, durante la messa della domenica in chiesa, seduti in aereo per raggiungere una meta qualsiasi, viviamo la paura della bomba. La paura che da un momento all’altro, per delle dinamiche che nemmeno abbiamo capito fino in fondo, potremmo essere protagonisti di un’orrenda faccenda di cronaca. La bomba, fortunatamente questa volta non c’era, ma vorrei non essere più “impanicata” alla vista del contapassi di un qualsiasi “simpatico” passeggero in aereo.

Maria Teresa Candido

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