Con la cultura non si mangia. Quante volte ci siamo ritrovati coinvolti in conversazioni di questo tipo? E adesso, reclusi – per via dell’emergenza del coronavirus, è proprio quella famosa “cultura” di cui sopra che sta colmando le ore che, alcune volte, sembra non passino mai.
Sentiamo la mancanza di quei luoghi stimolanti, di ritrovo, di scambio, in cui è impossibile mantenere le distanze. Così, facciamo incetta di libri, film, musica. Stiamo sfruttando tutto quello che il virtuale può offrirci. Anche se non restituisce quella sensazione di appagamento che può dare un concerto dal vivo o un quadro visto da vicino. Abbiamo perfino imparato a disegnare o ci ritroviamo a cantare sui balconi. Insomma, con la cultura forse non si mangia ma trascorrere del tempo in sua compagnia è una gran cosa, soprattutto in questo momento di emergenza.
Ma gli operatori culturali come stanno vivendo questo periodo di arresti domiciliari forzati? Riescono ancora a produrre? Quanto costa questa reclusione ai luoghi di cultura? Per capirlo, lo abbiamo chiesto a 5 professionisti del settore; c’è chi si occupa di cinema, chi di rassegne concertistiche e chi di libri.
MaCa – Gli artisti non potranno non essere testimoni di questo mondo
Manuela Caruso – che firma le sue opere come MaCa – è una degli artisti più talentuosi di Messina. Di lei, avrete sicuramente visto la pensilina del tram dedicata a Mata e Grifone, ma anche il muro gigantesco dietro il Palacultura.
«Non so cosa significhi per un artista, per me – lavorare in reclusione – significa non lavorare e non perché non si vende o perché non si espone (quello già da prima); non lavorare nel senso di non fare. Sicuramente questo è un momento di gestazione e di ascolto per tutti; ci sono così tanti spunti, che diventa inevitabile per chi produce arte farsi ispirare. È un buon momento per porsi delle domande.
Non vedo l’arte come una forma di evasione dalla realtà, non è mai stato così e non lo sarà di certo adesso. La prossima produzione sarà in un modo o in un altro lo specchio di ciò che stiamo vivendo.
All’inizio questa “reclusione” l’ho presa bene, mi dicevo: è un buon momento per FARE bene. Ho dipinto i primi giorni, ho sperimentato un modo di dipingere diverso, mi sembrava il momento giusto per farlo, poi però mi sono resa conto che la mia mente non era libera di farlo, ci sono cose più “grandi” a cui pensare e diventa impossibile concentrarsi. Percepisci il dolore, percepisci la mancanza di libertà e ci si fossilizza in quelle sensazioni. La cosa più creativa che sto facendo in questo momento? Sto scrivendo una sceneggiatura.
Sto scoprendo anche dei limiti, tantissimi. Se ne sono aggiunti molti ai miei e ancor di più alla società. Ne dobbiamo superare tanti su tutti i livelli: politici, ambientali, fisici, mentali, spirituali. Ma è partendo dai confini che si sconfina. Speriamo e agiamo.
In questo momento molti stanno sfruttando la possibilità di visitare virtualmente dei musei ma credo che siano le stesse persone che ai musei ci vanno. Può essere un buon modo per conoscere le opere in collezione dei vari musei ma l’arte non può prescindere da un coinvolgimento fisico. Io programmo viaggi attorno a una mostra da vedere e non mi piace pensare di vederle dal soggiorno di casa. Non sarebbe un’esperienza emotiva e di emozione ce n’è tanto bisogno.
C’è poco spazio per la cultura adesso (sempre di meno). Le persone hanno cose più “urgenti” a cui pensare; devono pensare a sopravvivere. Sicuramente la cultura farà sentire la sua mancanza e come dopo ogni crisi di questa portata, l’arte prolifererà e diventerà una voce essenziale che aiuterà a prendere posizioni, che darà voce e susciterà nuove sensibilità rivelando nuovi mondi. Espimerà il dolore o la bellezza nascosta di questo momento. Sarà uno specchio in cui si riflette il mondo o per dirla alla Majakowskij un martello per forgiarlo, com’è sempre stata. Gli artisti non potranno non essere testimoni di questo mondo.»
Le opere della quarantena di MaCa:
«“Il sonno della ragione genera mostri” di Goya, perché bisogna essere razionali in questo momento ma non si possono tralasciare la fantasia e il sogno per costruire un nuovo mondo.
“La camera di Vincent ad Arles” di Van Gogh. Viviamo rinchiusi dentro 4 mura in cui è necessario far convivere il proprio mondo con quello che c’è fuori. La nostra camera non è mai stata così tanto il nostro rifugio, come lo era per Van Gogh questa camera. Nella parete di fondo una finestra, uno specchio e un quadro; rappresentano tre finestre simboliche, dei portali per tre mondi esistenziali essenziali, in questo momento più che mai.
Poi ci sono le città metafisiche di De Chirico. Quelle poche volte che sono uscita mi è sembrato di stare dentro a un suo quadro: desolante, perturbante, rivelatore. Infine c’è Hopper, a tutti sembra di stare dentro a un suo quadro. Ma ce ne sono veramente tanti.
L’artista è da sempre sensibile ai grandi temi affrontati qui oggi: “dentro fuori”, isolamento, solitudine, morte, natura, ecologia, libertà, evoluzione.»
(1668)