“Anime migranti”: al Teatro di Tindari, riflessione sulla fratellanza dei popoli

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In scena venerdì 21 agosto, alle 21.15, nel magico scenario del Teatro Antico di Tindari, “Anime migranti”, di Moni Ovadia e Mario Incudine, è una riflessione corale sulla fratellanza fra i popoli, un viaggio narrativo e musicale nella memoria recente e remota per raccontare in musica e parole il dramma quanto mai attuale dell’immigrazione.

“C’era una Sicilia che ha visto partire, c’è una Sicilia che vede arrivare. Questa è la Sicilia che si è messa a cantare”: è questo il fil rouge che muove l’intero spettacolo, impregnato di racconti di migranti siciliani che appaiono tragicamente simili alle storie di vita degli immigrati di pelle nera che oggi arrivano a frotte sulle coste siciliane. Da Palermo a Tunisi, da New York a Baghdad, la migrazione in questa prospettiva è uno specchio nel quale si riflette la Storia, una tela di occhi che si scambiano sguardi disperati. Le facce dei siciliani sui bastimenti per l’America, così come le braccia laboriose nelle miniere del Belgio che hanno fatto grande l’Europa, somigliano come una goccia d’acqua ai volti degli africani approdati sulle coste dello Stivale. Che siano meridionali in cerca di fortuna oltreoceano o extracomunitari appena sbarcati a Lampedusa, l’unica strada percorribile per le “anime migranti” di ogni tempo e latitudine è la fratellanza degli ultimi, estremo appiglio a cui aggrapparsi per difendere la dignità e il diritto a una vita migliore.

mario e moni (3)Al ritmo delle composizioni di Incudine, uno dei personaggi più rappresentativi della nuova world music italiana, l’opera alterna musica e recitazione, canti e cunti, drammi e sorrisi, svelando al contempo i risvolti seri e quelli umoristici della migrazione. Moni Ovadia interviene con canti della tradizione sefardita e con letture, storie e poesie di Erri de Luca ed Ignazio Buttitta, mentre all’attrice Annalisa Canfora spetta il compito di dare voce alle madri e mogli dei tanti migranti che hanno lasciato la propria terra, ripercorrendo la loro storia attraverso la lettura di lettere inedite.

Si parte dal grido di un naufrago africano che invoca la morte in mare piuttosto che il rimpatrio (il brano Salina, con cui Incudine ha vinto il Festival della nuova canzone siciliana), per approdare a Speranza disperata, riflessione sui siciliani in viaggio per le Americhe, e a Sottomare, strumentale dedicato alle anime in viaggio verso destinazioni lontane. C’è poi la nostalgica Novumunnu, canto d’addio di un migrante alla propria terra madre, lo struggente Lu trenu di lu suli, cunto sulla tragedia di Marcinelle vista dagli occhi della moglie di un minatore siciliano, e quindi Namename, preghiera di chi vuol trovare il coraggio di lasciare la propria terra avara di piogge.

Sempri ccà, voce di chi sa che non riuscirà mai a staccarsi dalle proprie radici, è il primo fra i canti che raccontano il profondo attaccamento al proprio paese, come Terra, che esprime la carnalità del Mediterraneo che scorre come sangue nelle vene di chi lo abita, e come Sotto un velo di sabbia, che descrive il dramma degli uomini abbandonati alla morte in un Sud che soffoca i sogni come sabbia nella gola. Note di speranza arrivano da Strati di paci, inno alla fratellanza dei popoli, Tenimi l’occhi aperti, in cui un padre consegna ai figli il futuro dei propri sogni, e infine Lu tempu è ventu, romanza sussurrata di un’umanità che scuote la polvere e trova la forza per proseguire senza voltarsi indietro.

«Anime migranti – spiega Mario Incudine – è una riflessione in musica e parole per non dimenticare da dove veniamo e per non assistere ancora una volta al silenzio della memoria.  La musica popolare, quella che i nostri nonni hanno portato oltreoceano e quella che ancora vive dentro i racconti di chi è rimasto da questa parte del mare è il filo conduttore di questo viaggio che parte dalla Sicilia: da quest’isola si alza un canto a più voci per raccontare il nostro tempo, un tempo in cui le coste sono teatro di tragedie, di gommoni che non riescono a toccare riva e di mari ormai cimiteri di tanti, indefiniti, morti. Per questo motivo un opera a più voci, perché sia un unico abbraccio, un’unica voce, un’unica bandiera per la pace e l’amore tra i popoli».

MARIO INCUDINE. Nato a Enna nel 1981, è un cantante, attore, ricercatore, musicista e autore di colonne sonore. Un po’ cantastorie e un po’ cantautore, esprime l’amore per la propria terra e le proprie tradizioni miscelando la musica popolare con i suoni della world music. In qualità di cantante e musicista ha collaborato con alcuni dei più importanti autori italiani (fra cui Dalla, Battiato e De Gregori) e fa parte stabilmente dell’Orchestra popolare italiana dell’Auditorium del Parco della Musica di Roma, diretta da Ambrogio Sparagna. Ha vinto nel 2009 il 10º Festival della nuova canzone siciliana e l’anno successivo il premio della critica.

MONI OVADIA. Artista poliedrico di origini bulgare, ha rivolto la sua poetica al recupero e alla rielaborazione del patrimonio artistico, letterario e musicale degli ebrei dell’Europa orientale. Politicamente impegnato e filopalestinese, ha partecipato a trasmissioni radiofoniche, programmi televisivi e lungometraggi (fra cui Caro Diario di Nanni Moretti e Facciamo Paradiso di Mario Monicelli). Fra le sue opere teatrali più importanti: Dybbuk (1995),  Il mondo è scemo (1998), Lavoratori di tutto il mondo, ridete (2007)

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