La Dia sequesta il patrimonio del boss Giuseppe Pellegrino. Beni per 5 milioni di euro

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Gli uomini della D.I.A. di Messina, supportati dal Centro Operativo di Catania, a conclusione di una lunga e articolata attività investigativa, hanno sequestrato il patrimonio riconducibile a Pellegrino Giuseppe, di Messina, noto pregiudicato attualmente detenuto, legato al clan Sparacio e, successivamente, a quello dei Spartà, operante nella zona sud della città di Messina.

Il sequestro disposto dal Tribunale di Messina, su proposta del direttore della D.I.A., Nunzio Antonio Ferla, scaturisce da una complessa attività d’indagine economico patrimoniale che ha permesso di dimostrare l’evidente incapienza dei redditi dichiarati dell’intero nucleo familiare del proposto in raffronto a tutto il patrimonio accumulato nel tempo,  nella disponibilità posseduto anche attraverso la costituzione di contesti societari creati ad Hoc. Il proposto, per il suo carisma criminale, e’ stato coinvolto in vicende giudiziarie che hanno interessato l’area ionica della provincia di Messina. In particolare nella zona sud di questa città in località Santa Margherita, la famiglia Pellegrino, tra gli anni 80’ e 90’, era divenuta antagonista a quella dei Vitale dando vita ad una “guerra di mafia” contrastata poi nell’operazione “Faida” nel cui contesto il Pellegrino è stato arrestato e condannato alla pena di anni 30 (che attualmente sta scontando). Secondo copiose risultanze processuali, i Pellegrino inizialmente erano legati al clan Sparacio e, successivamente, con quello dei Spartà. I cattivi rapporti con la famiglia Vitale, anch’essi imprenditori nel settore del movimento terra, culminarono con l’omicidio di Pellegrino Giovanni (fratello di Giuseppe), avvenuto l’08 febbraio del 1990 per mano di Nicola Vitale. Quest’ultimo comunque, per l’omicidio, venne assolto dalla Corte d’Assise con la motivazione di “aver agito in stato di legittima difesa”.

L’uccisione di Pellegrino Giovanni rinforzò la “guerra” tra i due gruppi rivali dando vita alla stagione dell’alleanze mafiose. La famiglia Vitale trovò appoggio nel clan capeggiato dal “boss” Mancuso Giorgio, mentre quella dei Pellegrino si schierò con le cosche di Sebastiano, detto “Iano”, Ferrara e di Sparacio Luigi. Il proposto risulta coinvolto anche nelle operazioni “Peloritana 2” e “Margherita” per gravi fatti di sangue e per reati estorsivi, subendo in entrambi i casi dure condanne.  Giuseppe Pellegrino, già colpito da Sorveglianza Speciale con Obbligo di Soggiorno, figura coinvolto in svariati procedimenti penali: operazione “Albatros”, in quanto ritenuto elemento di vertice dell’associazione mafiosa dedita alle estorsioni, ai danneggiamenti ed alle minacce ad imprenditori messinesi; operazione “Supermercato”, in quanto ritenuto partecipe ad un’associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, unitamente ad altri appartenenti alla criminalità organizzata messinese e calabrese; indagato nell’ambito dell’operazione “Domino”, ove si attestava l’esistenza del gruppo criminale Pellegrino, ed i suoi legami alla cosca mafiosa capeggiata da Giacomo Sparta’; indagato nell’ambito del procedimento penale “Icaro”, conclusasi con l’emissione di provvedimento custodiale nei confronti di 44 soggetti (pur non colpito da ordinanza custodiale, un ruolo considerevole è stato attribuito a Pellegrino Giuseppe ed ai suoi fratelli Nicola e Domenico).

Da ultimo è stato indagato nell’ambito di attività recentemente condotte da questa Sezione; gli elementi raccolti nell’ambito delle attività espletate consentivano di colpire i fratelli del proposto, Pellegrino Nicola e Domenico, con confisca patrimoniale quantificata all’epoca in 50 milioni di euro. In quel contesto, è stato documentato che le imprese dei Pellegrino, per la realizzazione di manufatti commissionati da soggetti pubblici e privati, utilizzavano forniture di calcestruzzo “depotenziato”. Il prosieguo delle investigazioni, altresì, consentivano di accertare che il Pellegrino Giuseppe, nel corso dei colloqui carcerari avvenuti nell’anno 2012, impartiva ai congiunti chiare e puntuali disposizioni volte a consentire l’inserimento del proprio figlio Manuel Giuseppe nel lucroso settore delle onoranze funebri, avvalendosi della sua appartenenza all’organizzazione criminale “Cosa Nostra” e delle “alleanze” fissate durante la sua detenzione, nella fattispecie con il gruppo catanese della famiglia D’emanuele, facente parte del famigerato clan Santapaola.

Recentemente, Pellegrino Giuseppe, è stato colpito da altra ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 12.02.2016 dal G.I.P. del Tribunale di Messina, in quanto – come da dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia (Santovito Daniele, CENTORRINO Salvatore, Barbera Gaetano e D’agostino Francesco), è stato indicato, unitamente ad altro soggetto (Bonasera Angelo), quale mandante dell’omicidio La Boccetta Francesco commesso a Messina il 13.03.2005. Le contestazioni hanno riguardato anche l’applicazione dell’aggravante del metodo mafioso di cui all’art. 7 L.203/91 ed al fine di agevolare le attività dell’associazione di stampo mafioso, oltre all’ipotesi di concorso in porto e detenzione abusiva di armi.

Secondo la ricostruzione degli investigatori, l’omicidio è stato deciso a seguito di una serie di riunioni avvenute tra i detenuti D’arrigo Marcello, Centorrino Salvatore, Santovito Daniele, Bonasera Angelo e Pellegrino Giuseppe, mentre si trovavano ristretti all’interno del carcere di Gazzi, allo scopo di “punire”  La Boccetta, per aver tradito il proprio gruppo, avvicinandosi a quello di Santo Ferrante, nonché per aver creato dei dissidi all’interno del “clan” in ordine all’appropriazione di una grossa partita di cocaina.

Il sequestro operato ha interessato 4 aziende, operanti nel settore delle onoranze funebri e dell’edilizia, nonché del commercio di prodotti alimentari, 1 fabbricato e vari rapporti finanziari, del valore complessivo pari a 5 milioni di euro.

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