All’Ancol di Melino Capone, indagato per truffa, per l’accusa c’era “posto” per tutti. Parenti dell’ex assessore e dei politici amici

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caponeAvviso di conclusione indagini per l’indagato Melino Capone nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Messina sui Corsi di Formazione professionale. Il sostituto procuratore Camillo Falvo, per l’ex assessore comunale alla viabilità ed ex commissario regionale dell’Ancol, ipotizza il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. I Riflettori della magistratura furono accesi sull’Ancol, (Associazione Nazionale delle Comunità di Lavoro), per accertare la legittimità dei finanziamenti ottenuti dalla Regione Siciliana, per 13 milioni e 600mila euro, dal 2006 al 2011.
Melino Capone fu, ufficialmente, commissario Ancol sino al 2006. Pare che, dopo quell’anno, nonostante la carica gli fosse stata revocata, avesse proseguito nel ruolo di commissario. Secondo l’accusa, avrebbe anche provveduto a “sistemare” parenti ed amici. Capone -sostiene l’accusa- non più commissario Ancol, avrebbe comunque presentato alla Regione progetti formativi che furono regolarmente finanziati per un totale di 13 milioni e 600 mila euro. Con quel danaro furono aperte nuove sedi a Barcellona, Catania, Palermo e Mirabella Imbaccari, e asssunto personale “amico”. Capone- secondo quanto scaturito da indagini delle Fiamme Gialle- assunse l’intero parentado. Pare che il padre dell’ex di Palazzo Zanca meritasse, per il suo impeegno all’Ancol, ben 3500 euro mensili. Ma c’era posto anche per madre, fratelli e cugini. E posto c’era per amici e parenti degli amici politici, messinesi, regionali e nazionali. Per loro la paga base variava dai 1200 ai 1600 euro.
L’Ancol nazionale volle porre fine all’azione arbitraria dell’ex commissario Capone con una lettera alla Presidenza della Regione Siciliana. Fu scritto che quella carica, a Capone, era stata revocata e che in Sicilia non esistevano più sedi della onlus. Quella lettera – accertarono i finanzieri – sarebbe stata archiviata frettolosamente da Patrizia Di Marzo, funzionario direttivo della segreteria dell’Avvocato Generale della Regione Siciliana e da Anna Saffioti, responsabile dell’Area Affari Generale della Regione. Le due funzionarie sono indagate per truffa.

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