La casa di Franco Battiato potrebbe diventare un “bene culturale”

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È passata solo una settimana da quando il Maestro Franco Battiato è andato via, lasciando ai suoi affezionati sonorità, sperimentazioni, concetti, trame filosofiche e musicali che nessuno, nel panorama musicale italiano, potrà replicare.

Adesso la Soprintendenza dei Beni culturali e ambientali di Catania ha avviato la procedura di dichiarazione di interesse culturale per “Villa Grazia”, la casa – eremo di Milo, alle pendici dell’Etna, in cui Battiato ha trascorso l’ultimo periodo della sua vita.

L’eremo di Franco Battiato

Il procedimento avviato dalla Soprintendenza terminerà entro 120 giorni con l’apposizione del vincolo che definirà la Villa come bene culturale. «La nostra funzione è quella di preservare e tutelare ciò che ha un valore storico, etnoantropologico e culturale perché ne resti memoria nel tempo. La villa di Milo – ha detto Donatella Aprile, Soprintendente di Catania – oltre ad essere un bell’esempio di casale rurale, è oggi un luogo simbolico che testimonia la vita di un artista siciliano riconosciuto in tutto il mondo per la peculiarità della sua produzione; la sua casa deve essere preservata perché possa testimoniarne la vita e diventare un luogo di riferimento, un Museo della Musica che ne possa mantenere la memoria».

«Villa Grazia è un luogo unico – ha aggiunto l’assessore dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, Alberto Samonà – perché esprime quel silenzio e quella spiritualità che Franco Battiato ci ha donato con la sua arte. Il vincolo culturale è un gesto di amore verso l’artista, ma anche di rispetto e di attenzione per quella che fu la sua dimora. Un luogo che ci invita alla riflessione, all’introspezione e alla ricerca della verità: un microcosmo alle pendici della montagna sacra, che con questo gesto vorremmo che fosse ulteriormente valorizzato, nel nome di questo grande, grandissimo artista».

E ti vengo a cercare

Chissà cosa avrebbe detto Battiato della proposta della Soprintendenza, chissà se avrebbe accolto con entusiasmo questa idea di trasformare il suo eremo in un bene culturale. Chissà che espressione avrebbe fatto alla vista di sconosciuti che gironzolano proprio nel suo rifugio, in cui ha continuato a comporre lontano da occhi indiscreti, a dipingere, a concentrarsi.

Pensiamo che non sempre i beni materiali – degli immobili, come in questo caso – degli artisti debbano necessariamente diventare patrimonio di tutti.  Magari, per conoscerlo, basterebbe mettere su un suo disco e trascorrere del tempo – distante e lontano – con lui.

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