Alcuni segnali della Messina pre-terremoto del 1908
All’indomani del “terremoto dei terremoti”, il sisma di magnitudo 7.1 della scala Richter che colpì nel 1908 Messina e Reggio Calabria, iniziò la fase della ricostruzione. Negli anni che seguirono, infatti, l’ingegnere Luigi Borzì elaborò un piano (il cosiddetto “piano Borzì”) approvato poi nel 1911, che stabilì le regole di natura antisismica da adottare nel rimettere in piedi la città semi-distrutta da uno degli eventi naturali più catastrofici del ‘900 italiano.
In questa fase fu necessario, come spiegherà il professor Franz Riccobono, rialzare il piano di calpestio della città, allora in buona parte ricoperta di detriti e macerie, dai resti della Messina che era.
Pubblichiamo, di seguito, alcuni esempi.
«Percorrendo via Garibaldi – esordisce Franz Riccobono – molti si chiedono del perché la Chiesa della Santissima Annunziata dei Catalani, insigne monumento medievale cittadino, risulti interrato di oltre due metri rispetto all’attuale piano stradale. Testimonianza importante quella dei Catalani in quanto segna in maniera evidente un mutamento del piano di calpestio che caratterizzò nella fase ricostruttiva alcune zone ed alcuni monumenti dell’antica Messina ancor oggi visibili. Nel caso della Chiesa dei Catalani siamo di fronte ad uno dei maggiori innalzamenti, così come si può osservare nella parte retrostante le absidi del Duomo. Mentre altre testimonianze di minor rilievo ci vengono ad esempio dalla Chiesa di Santa Maria degli Alemanni, retrostante l’edificio già della Cassa di Risparmio sul fronte di via Garibaldi e nella parte ad est lungo l’asse di via Sant’Elia».
«Anche la Chiesa dedicata al grande profeta Elia – prosegue – (situata a pochi passi dalla Chiesa di Santa Maria degli Alemanni, ndr), sopravvissuta pressoché indenne al sisma del 1908, presenta nella parte antistante l’ingresso un innalzamento del piano stradale, che in questo caso è di circa 1 metro rispetto al pavimento dell’antico tempio. Tali modifiche che riguardano zone circoscritte dell’antico centro storico sono dovute ad una esigenza ineluttabile che fu quella dello sgombero delle macerie prodotte dagli edifici crollati nel terremoto.
Bisogna considerare che dopo il sisma non si disponeva di mezzi meccanici per lo spostamento di inerti, come oggi avviene, ed i mezzi di trasporto erano di gran lunga diversi dagli attuali, per cui i materiali di risulta venivano caricati con le pale a mano nei cassoni dei carretti la cui dimensione era di circa un metro per un metro per quaranta di altezza. Considerata l’enorme massa di detriti provocata dai crolli, in alcune zone si preferì spianare le rovine con il conseguente innalzamento del piano di calpestio. È bene precisare però che questa pratica non riguarda l’intero abitato ma specifiche porzioni di questo».
«Il caso più eclatante – aggiunge Riccobono – risulta quello del fronte portuale. Qui l’innalzamento supera costantemente i due metri e mezzo rispetto alla superficie delle acque, laddove l’altezza delle banchine pre-sisma era di poco più di mezzo metro.
Lungo l’asse della via XXIV maggio (già dei Monasteri), per il raddrizzamento e la modifica del piano stradale, avvennero vari cambiamenti come documentato dal prospetto dell’edificio del Monte di Pietà, oggi rialzato. Lo stesso fenomeno si verificò per quanto riguarda l’ingresso della Chiesa di Santa Eustochia, oggi collegato alla strada da una scalinata un tempo non esistente. A valle di via XXIV maggio, lungo l’asse di via Romagnosi resta, a curiosa testimonianza, la chiesetta intitolata a San Tommaso, la cui quota di impianto corrisponde quasi del tutto all’attuale piano di calpestio».
(Foto dell’archivio di Franz Riccobono e Giangabriele Fiorentino)
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