La nostalgia, la malinconia, il rammarico per non aver tentato di rimanere, ma anche l’orgoglio, l’estasi e l’entusiasmo di chi, quando torna, non riuscirebbe a sentirsi un forestiero neanche se lo volesse. I messinesi fuorisede che staranno leggendo questo articolo conoscono bene l’intensità di tutti questi sentimenti, ogni qual volta si allontanano o si riavvicinano alla loro terra. Paolo Pino è uno di questi.
Paolo si è laureato nel 2016 all’Università di Messina, dove ha studiato Ingegneria Industriale, curriculum Meccanica e Materiali. Nello stesso anno ha iniziato il corso di Laurea Magistrale Ingegneria dei Materiali al Politecnico di Torino, con una tesi all’Institut Charles Gerhardt di Montpellier. Terminata la magistrale, ha intrapreso un Master di II livello in Space Exploration and Development Systems, insieme al Politecnico di Torino, all’ISAE Supaero di Tolosa ed alla University of Leicester.
Nel 2019 ha iniziato un Dottorato di Ricerca in Ingegneria Chimica al Politecnico di Torino, mentre nel 2020 ha completato un Graduate Program in Commercial Space Studies tenuto dal Florida Institute of Technology e dall’International Space University. Nello stesso anno è stato ammesso al Collége des Ingénieurs, un istituto che gli permetterà di conseguire un MBA (Master in Business Administration) in parallelo al Dottorato.
Dal Liceo “Archimede” alla Rivista del CERN
«Sembrano tante cose, ma è solo un modo ricercato per mascherare l’indecisione» commenta. In effetti, non è da tutti mostrare un cursus honorum così ricco a soli 26 anni. Quando era rappresentante degli studenti al Liceo Scientifico “Archimede”, tutti, tra professori e compagni, si erano rapidamente resi conto del fatto che Paolo avesse una marcia in più, forse una delle ragioni per cui la sua ultima rielezione nel 2012 è arrivata a furor di popolo e il ricordo della sua rappresentanza è ancora vivo nella memoria di chi ha frequentato la scuola in quegli anni.
Qualche settimana fa, sulla Rivista di Innovazione Sperimentale del CERN IdeaSquare è comparso il seguente articolo: “Contrasting information disorder by leveraging people’s biases and pains: innovating in the post-truth era”, ovvero come contrastare la disinformazione facendo leva su dinamiche psicologiche e sociali comuni. La prima firma su questo studio è proprio quella di Paolo Pino.
«Ho lavorato a questa tematica – spiega Paolo – nell’ambito di un programma di impact innovation tenuto dal Politecnico di Torino, dal Collège des Ingenieurs e dall’unità del CERN che si occupa di innovazione sperimentale, IdeaSquare. Questo programma, che si chiama Innovation4Change, forma dei team interdisciplinari e li mette al lavoro su sfide di respiro globale, proposte da alcune organizzazioni, affinché sviluppino soluzioni pratiche ed a lungo termine a queste sfide. Io ed il mio team abbiamo raccolto quella dello United Nation Interregional Crime and Justice Research Institute (UNICRI), che era interessato ai modi in cui attori malevoli potessero intenzionalmente sfruttare la disinformazione per minare la credibilità di campagne vaccinali e per la salute.».
In principio, però, non era così scontato che la situazione generale potesse degenerare per via della pandemia. «Quando abbiamo iniziato – continua –, nel febbraio del 2020 non ci aspettavamo di certo che il pianeta sarebbe precipitato in una delle più grandi crisi sanitarie dei tempi moderni, e che la credibilità della scienza e della medicina sarebbero state scosse così violentemente. L’informazione cresce a ritmi esponenziali e diventa sempre più articolata e complessa. Connettere rapidamente informazioni e voler piacere agli altri era un grosso vantaggio nella savana, ma non lo è su Facebook. Sui social media, invece, ci vengono proposti solo i contenuti per cui mostriamo più engagement, che finiscono per essere sensazionalistici e parziali, e che fanno leva sulle nostre emozioni e non sulla nostra ragione».
Ma di cosa parla esattamente l’articolo che è piaciuto così tanto al CERN di Ginevra da pubblicarlo sulla sua Rivista di Innovazione Sperimentale? «Abbiamo appreso che chi è più frequentemente esposto alla disinformazione riesce ad affrancarsene per due fattori principali: l’esposizione a controargomentazioni convincenti e la possibilità di dialogare con una persona fidata e competente al contempo. La nostra proposta finale consisteva quindi in un assistente virtuale che avrebbe offerto all’utente una serie di notizie scelte per temperare le reazioni emotive più critiche, dare una visione bilanciata degli argomenti e mettere in maggior risalto la parte del network composta da amici fidati e con opinioni diverse o più in linea con fatti accertati».
Il progetto Lunar Governance
In inglese esiste un modo di dire, “Sky’s the limit”, ”Il cielo è il limite”, che nel caso di un ingegnere può risultare inadeguato. Tra i vari campi studiati dal giovane ingegnere messinese, infatti, c’è anche il viaggio spaziale, che è il tema del report sulla Lunar Governance che Paolo Pino sta redigendo insieme agli altri membri dello Space Generation Advisory Council, un’organizzazione internazionale che raccoglie i migliori under 35 nel settore spazio e che ha un posto di osservatore permanente allo UNCOPUOS, ovvero lo United Nations Committee on the Peaceful Uses of Outer Space, la Commissione delle Nazioni Unite sull’uso pacifico dello spazio extra-atmosferico.
«Si tratta di un documento – precisa – che rappresenta la posizione ufficiale delle nuove generazioni in merito al futuro della Luna: a più di 50 anni di distanza dal programma Apollo, la Luna è infatti tornata al centro dell’interesse mondiale, questa volta con molti più Stati ed organizzazioni intenzionati ad esplorarla ed a stabilirvisi in via permanente».
Uno dei nodi principali da sciogliere sull’esplorazione lunare rimane quello del diritto spaziale: quali leggi vigeranno sulla Luna? Chi deciderà cosa si può fare e cosa no? «Per cercare risposte a queste domande, abbiamo dialogato con una molteplicità di individui appartenenti ad agenzie spaziali, governi, università, società civile e industria, formulando delle raccomandazioni mirate e proponendo degli strumenti per metterle in atto. Una delle parole d’ordine è sostenibilità: nell’uso delle risorse, nell’inclusione dei paesi sprovvisti di accesso allo spazio, nella condivisione dei benefici derivanti dall’esplorazione, nella cooperazione internazionale. Si parla anche di adaptive governance, vale a dire di un approccio in base al quale le leggi vengono formulate man mano che le tecnologie, le prassi e i programmi progrediscono. Sembra uno scenario surreale, ma è molto più concreto di quanto si possa pensare. In quanto giovani, abbiamo il diritto e il dovere di dire la nostra sul futuro prossimo.
Messina nel cuore
A margine di tutte le incredibili iniziative in cui è stato coinvolto, Paolo Pino resta prima di tutto un messinese. E, indipendentemente dal provincialismo che potrebbe destare una frase di questo tipo, non c’è assolutamente niente di male a rivendicare le proprie origini, a portarle sempre con sé dovunque si vada, conservandone reminiscenze e frammenti di tradizione.
Da diversi anni, inoltre, Paolo fa parte di Fuori di ME, una no profit che dal 2015 raduna giovani messinesi fuorisede con l’obiettivo di mettere al servizio della città la loro esperienza e le loro idee, proponendo progetti e iniziative.
«La cosa che amo dell’associazione – dice – è che non solo connette i fuorisede tra di loro, ma anche alla città. Penso che i fuorisede siano un serbatoio di esperienze e diversità molto ricco, una grande risorsa per qualunque città. E credo che dovremmo andare oltre alla retorica del fuorisede perduto e dimenticato, del fuorisede fuggito o costretto a fuggire e iniziare a sfruttare il potenziale immenso che esiste nella nuova mobilità dei giovani, nella velocità e fluidità degli scambi, nel networking e nelle traiettorie che si intrecciano. La parola fuori prima di sede sta lì solo perché la nostra idea di sede è obsoleta».
Ben prima di trasferirsi a Torino e diventare a tutti gli effetti un fuorisede, comunque, Paolo Pino è stato studente del dipartimento di Ingegneria dell’Università di Messina, dove nel 2016 ha completato il suo ciclo triennale di studi. «L’Università di Messina mi ha fornito una formazione eccellente da cui ho sempre tratto beneficio negli anni successivi. Tra l’altro, il dipartimento ha una direzione brillante e lungimirante ed è in fermento continuo: l’offerta formativa di quest’anno è eccezionale e sono sicuro che i prossimi ingegneri e le prossime ingegnere avranno grande successo».
Sulle prospettive lavorative di Messina, invece, si delinea un quadro sorprendentemente positivo rispetto alla percezione comune: «Penso che, per chi come me ha una formazione ingegneristica, le prospettive più interessanti a Messina riguardino aree come l’industria navale, edile e chimica. E penso anche che ci sia molto di interessante all’orizzonte: mi riferisco ad esempio ai settori delle rinnovabili e dell’ambiente, dell’agrotech, dei materiali, della medicina e delle biotecnologie. Sono fermamente convinto che queste discipline dovrebbero avere un ruolo centrale nello sviluppo del territorio».
Al di là del successo, del prestigio e della vocazione internazionale, il cuore di Paolo Pino è ancora a Messina. «Mi manca moltissimo – rivela. Amo i luoghi, le tradizioni e le persone. Amo i ricordi che popolano le strade tutte le volte che ci cammino. Amo meno quelli che postano foto di granite e focaccia su Instagram mentre sono lontano, ma li amo in ogni caso. E vorrei cogliere quest’opportunità per fare un passo al di là dello stereotipo del siciliano nostalgico: Messina non è solo nei miei pensieri, è anche nei miei progetti. Presenti e futuri. La vita è semplicemente troppo ricca per essere vissuta in un luogo soltanto, ma dai luoghi si parte e ai luoghi si torna». Una storia, la sua, tutta ancora da scrivere.
Foto reperita dalla pagina Facebook ufficiale di Fuori di ME
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