Ravenna è una bambina strappata precocemente all’abbraccio della madre da un re malvagio e affamato di bellezza. Battezzata da un incantesimo e determinata a vendicarsi degli uomini, Ravenna cresce in potere, magia (nera) e beltà, disponendo eserciti di ombre, innamorando sovrani e rovinando regni. Incantato il padre di Biancaneve, vedovo dolente e sconsolato, ne diventa regina e padrona. Assassinato nel talamo nella prima notte d’amore, spegne il suo reame e rinchiude la sua bambina nella torre più fredda del castello. Gli anni passano e Biancaneve matura una bellezza che specchio e regina non possono davvero ignorare. Minaccia e insieme soluzione, il cuore di Biancaneve è una promessa di immortalità per Ravenna che ordina di condurla al suo cospetto. Ma la principessa trova la fuga e infila la via del bosco, vendendosi care pelle e cuore. Assoldato un cacciatore ebbro e impulsivo, la perfida Ravenna lo lancerà all’inseguimento della fuggitiva, perduta in una foresta ostile, dove la soccorreranno nani, fatine, principi pallidi e cervi radiosi.
Un film (Biancaneve), un c’era una volta e una mela avvelenata dopo, arriva in sala la Biancaneve di Rupert Sanders ed è subito sfida tra ‘belle del reame’. Se la bellezza rossa e svettante di Julia Roberts è minacciata da quella minuta e lunare di Lily Collins, quella bionda e folgorante di Charlize Theron è provocata da quella pallida e introversa di Kristen Stewart, di nuovo contesa in un triangolo, di nuovo condivisa nel talamo.
Ieri erano un vampiro e un licantropo (Twilight), domani saranno uno scrittore e un fedifrago (On the Road), oggi sono un principe e un cacciatore, che ha smesso l’abito di Thor ma ha conservato l’appeal degli dei. Lasciando allo specchio magico e al Paride mitologico giudizio e conferimento di ‘mela’ e titolo, sfuggiamo la tentazione di eleggere ‘la più bella’ evidenziando l’implacabile sistema competitivo che muove Biancaneve e il cacciatore, film indeciso tra fiaba e fantasy, tra fedeltà e tradimento. Come nelle pagine dei fratelli Grimm, Biancaneve si ‘raccomanda’ a Dio ma al contrario dell’originale cade in tentazione una volta sola mordendo la mela, si lascia baciare da due ‘principi’, combatte dentro un’armatura e alla maniera di Giovanna d’Arco contro una regina ‘posseduta’ e liberata come un nosferatu con una stilettata al cuore.
Seguendo la tendenza di tanto cinema contemporaneo a rinnovare il repertorio dei classici, Sanders pesca nel pozzo fiabesco dei Grimm e realizza un film in costume contraddistinto da modifiche sostanziali nella caratterizzazione dei personaggi e nella struttura stessa dello sviluppo narrativo. Più interessanti degli esiti sono i ‘ritocchi’ che nelle recenti riedizioni ‘riformano’ l’eroina ‘bianca come la neve e bruna come l’ebano’. Sopravvissuta all’immancabile mela, grazie a un bacio o a un rigetto miracolistico, Biancaneve è una guerriera, laica per Tarsem Singh, cristiana per Rupert Sanders, una fanciulla in fiore che s’inventa una nuova identità, rivolgendosi con determinazione a un pubblico femminile a cui nega (quasi) ogni gratificazione consueta. Perché, che siano nani ‘trampolati’ o un cacciatore potente come un ‘tuono’, Biancaneve viene addestrata all’arte della guerra, compiendo la sua ascesa sociale a colpi di spada e di (buona) volontà. Nessun principe azzurro canonico spalleggia la principessa di Kristen Stewart, piuttosto un team di natural born losers (sette nani minatori convertiti al furto e un cacciatore vedovo e sbronzo) lanciati contro le ingiustizie e i tempi correnti, quando i ‘cattivi’ non basta più sgominarli ma bisogna anche ‘capirli’. Si costruiscono allora psicologie ben definite e background fantasiosi a figure trascurate (ma non trascurabili), attribuendo loro un nome, un passato e un trauma che ne giustifichi la monomania (Ravenna), la cialtroneria (Eric), la furfanteria (i sette nani).
Se convince la final girl forte delle sue debolezze, votata alle scelte estreme, ‘do or die’, e proiettata verso lo scontro uno a uno con la strega nera, una ‘superba’ Charlize Theron, barbara massacratrice di ‘figlie’, l’illustrazione del trascorso traumatico della matrigna, del cacciatore e dei nani (cavatori ripudiati dalla società civile), priva lo spettatore della possibilità di interpretare, producendo ridicolo involontario e profondità dove non se ne sentiva il bisogno. La voglia di piacere troppo spesso rovina la favola e la bella della favola.
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