Zaino in spalla e la voglia di cambiare il mondo, Carlotta Rodriquez, trentenne di origini messinesi ma trapiantata a Pavia, ha passato gli ultimi mesi tra le vie dell’India e della Birmania, per analizzare la vulnerabilità sociale ai disastri delle popolazioni che le abitano e capire cosa si può fare, eventualmente, per migliorare la situazione.
«È iniziato tutto un po’ per caso, – racconta Carlotta – ero a Porto per il master e ho visto una locandina di “Architetti senza frontiere”, un’associazione internazionale che si occupa di tutto ciò che è emergenza, architettura informale, di “altra architettura”, per così dire». Da lì, un po’ per evadere la noia di una vita chiusa tra le quattro mura di uno studio, che le stava stretta, un po’ per curiosità, ha iniziato il suo percorso che l’ha portata lontano, in Nepal, in Birmania, in India e in Cambogia. La sua ricerca si concentra principalmente sui paesi in via di sviluppo e, in questo periodo, lavora per l’Eucentre di Pavia ed è operatrice di emergenza della croce rossa. Tra qualche giorno ripartirà alla volta della Birmania per conto della World Bank.
«Sto costruendo un modello per l’analisi della vulnerabilità sociale – spiega – In sostanza studio la capacità delle comunità di reagire ai disastri, di essere resilienti, rispondere a un evento destabilizzante e ricostruirsi, in tutti i settori». Specializzata in ingegneria delle strutture, per la sua tesi di dottorato allo IUSS (Istituto Universitario di Studi Superiori ) di Pavia, Carlotta ha deciso così di intraprendere un percorso diverso da quello “standard”, unendo la ricerca classica, basata su dati e modelli matematici, allo studio sul campo.
Fondamentale nel suo lavoro è quindi il contatto con le popolazioni, con le persone, che avviene solitamente attraverso le associazioni locali. Una volta arrivata su un territorio, ne analizza le strutture, gli edifici, le tecnologie, gli aspetti socio-economici, per poi passare al contatto diretto, al dialogo con le persone. «La seconda fase della ricerca è quella interattiva – spiega – in cui parliamo con i membri delle piccole comunità, distribuiamo questionari e facciamo domande per capire quali strumenti abbiano a disposizione in caso di emergenza». Cerca di capire, per esempio, qual è il livello di consapevolezza del rischio in una zona sismica, se ci sono delle strutture in grado di fronteggiare l’emergenza, se c’è o meno una conoscenza dei comportamenti da adottare in caso di terremoto.
L’interesse per l’aspetto più prettamente sociale della ricerca è nato e si è sviluppato col tempo: «Ho cominciato a capire il potere delle interazioni sociali, del network, solo quando ho visto cosa succede dopo un disastro». Al riguardo, porta come esempio la Sicilia, che definsce la “regina del network”: «Al bisogno si mobilitano pure i paesi vicini, con un passaparola da balcone, perché, si sa, i siciliani hanno amici e parenti ovunque».
La risposta ai disastri, sottolinea, cambia da zona a zona e cambia anche, e soprattutto, in base alla cultura e alle abitudini delle popolazioni. Per questo motivo, se si vogliono analizzare le vulnerabilità e i punti di forza di una comunità, si rivela fondamentale studiare le dinamiche sociali che agiscono al suo interno, il rapporto con l’ambiente e il livello di coesione tra gruppi e individui. «Da un certo punto di vista – spiega Carlotta – un paese in via di sviluppo ha caratteristiche, punti di forza, che i paesi sviluppati non hanno come, per esempio, la coesione sociale».
Tra le altre cose, il progetto comprende, oltre alle analisi e ai questionari, delle lezioni, dei workshop indirizzati sia agli adulti che ai bambini, su temi come l’eco-sostenibilità, la gestione dei rifiuti e l’adattamento ai cambiamenti climatici. «La cosa più bella sono i bambini, perché sono uguali ovunque – racconta, al riguardo, Carlotta – Ai più piccoli abbiamo fatto sia lezioni informali di inglese che lezioni sull’ambiente e la sostenibilità. È stata un’esperienza che mi porterò dietro sempre».
Una ricerca, in definitiva, che oltre a utilizzare e produrre dati e analisi, ha una ricaduta pratica a livello sociale, perché, conclude Carlotta: «Non credo nelle analisi fatte solo in laboratorio. Il fine ultimo è sempre quello di creare dei modelli che possano essere applicati nella realtà, che vadano al di là della semplice teoria, influendo sulla vita delle persone».
(Foto di Pietro Martinucci)
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