Gran Camposanto. Umidità, infiltrazioni e radici: così nei tumuli ultracentenari in vendita

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Gran camposanto di Messina«Che il Comune di Messina non si sia mai distinto negli anni in ambito cimiteriale, nonostante le grandi potenzialità, è ormai un dato di fatto; il Gran Camposanto è, infatti, il secondo cimitero italiano ma ha sempre fatto parlare di sé anche nelle cronache nazionali non certamente per fatti positivi (si pensi al sovraffollamento del deposito, all’abominevole pratica del satanismo in alcune zone, agli atti vandalici, al furto di fiori e portafiori, allo scandalo delle mazzette di parecchi anni fa)». Esordisce così in una nota, amareggiato, il Consigliere della terza circoscrizione, Libero Gioveni. Questa volta la pietra dello scandalo sono i costi e la qualità dei luoghi che il Dipartimento cimiteriale mette a disposizione di chi ne fa richiesta per i propri defunti. Gli unici posti disponibili per le sepolture, al momento, sembrano essere, infatti, le celle ultracentenarie che versano in pessime condizioni strutturali. Sono infatti loculi più piccoli rispetto a quelli di recente utilizzo (che richiedono dunque la “limatura” delle moderne bare, troppo grandi per quelle misure), per di più collocate in muri in cui insistono abbondanti infiltrazioni di acqua e si sviluppano al loro interno le radici degli alberi, che si trovano nel terreno sovrastante. «È il caso di una famiglia — denuncia il consigliere della terza Circoscrizione Libero Gioveni — che ha atteso parecchi mesi per far seppellire dignitosamente un giovane congiunto scomparso, fino a quando il Dipartimento ha prospettato ai parenti la soluzione dei loculi ultracentenari che ha recuperato nell’area adiacente l’edificio “Cinquemila”, per poter svuotare il deposito strapieno di salme. Non essendoci altre alternative gli interpellati hanno accettato di optare per questa soluzione ma dopo la lunga attesa la sorpresa è stata di quelle da far gridare allo scandalo». «Facile immaginare lo sconforto, la rabbia e soprattutto l’indignazione dei familiari» commenta Gioveni.  «La famiglia, che aveva persino provveduto a spesse proprie a togliere e sistemare i resti del defunto centenario, non ha potuto fare altro che presentare formale denuncia ai Carabinieri, soprattutto dopo il rifiuto del Dipartimento di non voler trovare soluzioni alternative a questa che rasenta senza mezzi termini un’autentica vergogna». Non è facile, certo, accettare di buon grado di concedere un’indegna sepoltura ai propri cari, con tutte le conseguenze del caso e la possibilità di un eventuale crollo, che infiltrazioni d’acqua persistenti non contribuiscono certo a scongiurare. A tutto questo si aggiungono i prezzi, esorbitanti — dice Gioveni —, quasi equiparabili a quelli delle celle di nuova costruzione. La cosa più incredibile è che chi accetta il posto centenario che gli è stato assegnato, lo fa a scatola chiusa (poco tempo per riflettere al momento dell’assegnazione e quindi l’impossibilità di visitare, in quel frangente, il luogo proposto per prendere delle decisioni ponderate) e poi si ritrova di fronte una brutta sorpresa. Certo, si può sempre rifiutare ma a quel punto ricomincia l’iter di attesa (in mancanza di soluzioni alternative o adeguate alle necessità dei familiari) e l’incubo del deposito, che non è certo il luogo ideale dove chiunque vorrebbe lasciar riposare il proprio caro. Per quanto tempo, poi? A ciò si aggiunge anche l’incognita della disponibilità futura di celle che potrebbe non essere migliore di quella attuale, dal momento che sembrerebbe che gli unici posti disponibili al Gran Camposanto siano quelli ultracentenari. Gioveni, che definisce questo un oltraggio, fa appello al Commissario straordinario, Luigi Croce, affinché vigili scrupolosamente sulla gestione complessiva del cimitero monumentale, e pensa di rivolgersi alla Procura della Repubblica per accertare eventuali inadempienze da parte di chi deve garantire dei servizi cimiteriali dignitosi. Perché la dignità è un affare serio, per chi non c’è più ma soprattutto per chi rimane, che non ha così la sensazione di aver abbandonato nel primo “buco” quello che prima di essere un corpo rimane pur sempre un “affetto”. 

Giusy Gerace

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