Il dietrofront potrebbe arrivare dopo che i giochi sono stati fatti. Quel “Regolamento” che non era piaciuto a molti avvocati e che è stato mantenuto per le elezioni dei nuovi consigli degli Ordini ora rischia di essere annullato. Nonostante molti lo giudicassero “errato e illegittimo in alcune sue parti”, e avesse ricevuto anche il parere negativo sia della Commissione Giustizia alla Camera che di quella al Senato, il Tar del Lazio con ordinanza collegiale aveva rigettato, il 14 gennaio scorso, la richiesta di sospensione di quelle parti del Regolamento che erano state impugnate.
Nulla di fatto, dunque, per chi lo riteneva una violazione della legge n. 247/2012. Gli avvocati Alessia Giorgianni e Antonello Garufi, candidati alle elezioni provinciali nella lista “Passione Forense”, avevano presentato, a sostegno del ricorso dell’Anf (Associazione Nazionale Forense) al Tar del Lazio, un intervento ad adiuvandum per chiedere la sospensione di quelle parti che non rispettano l’articolo 28 comma 3 della Legge 247/2012.
Il 29, 30 e 31 gennaio scorsi, avendo il tar rigettato la richiesta di sospensione, quel Regolamento ha dettato i metodi di scelta delle elezioni che si sono tenute al Tribunale di Messina per rinnovo del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati. A vincere è stato il “listone” di 21 candidati della lista n.1 che raccoglieva tutti i Consiglieri uscenti.
Ora, ad elezioni terminate e Consiglio eletto, l’Ordinanza di rigetto del Tar Lazio è stata impugnata davanti al Consiglio di Stato, il quale, ribaltando la posizione del Tar ha ritenuto fondate le ragioni di chi ritiene il regolamento in contrasto con la legge n.247/2012.
In particolare il CdS ha sostenuto che «Considerato che, nei limiti della sommaria cognizione cautelare, appaiono condivisibili le censure che evidenziano il contrasto tra la disciplina dettata dalla legge n. 247 del 31 dicembre 2012 e il regolamento impugnato in merito alla tutela delle minoranze che, in un ente pubblico di carattere associativo, ben rifluiscono sui temi dell’imparzialità dell’amministrazione, di cui all’art. 97 comma 2 della Costituzione; considerato che, proprio ai fini della tutela dei detti principi, pare praticabile un’interpretazione in cui il limite di voti di cui all’art. 28 comma 3 della citata legge sia da considerarsi insuperabile, ferma restando la possibilità di prevedere, entro l’evocato confine, modi di espressione delle preferenze ulteriori tese a salvaguardare le differenze di genere, come nel sistema già vagliato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 4 del 14 gennaio 2010; considerato che le esigenze cautelari vantate dalle parti appellanti ben possono essere tutelate, anche in considerazione del diverso sviluppo delle fasi procedimentali nelle diverse sedi e delle già avvenute elezioni, sollecitando la decisione nel merito, a norma dell’art. 55 comma 10 del c.p.a.».
A questo punto tutto torna al Tar Lazio che dovrà a breve esprimersi nel merito, con il peso su di sé di un Ordinanza che lascia trasparire la posizione del CdS, che in caso di sentenza di rigetto del Tar, verosimilmente, potrebbe ribaltare l’eventuale decisione negativa.
Gli avvocati, dunque, potrebbero dover tornare alle urne perché esiste il rischio che le elezioni vengano annullate.
Erano due, in modo particolare, i punti controversi previsti dal Regolamento attuativo che non rispettano l’articolo 28 comma 3: il numero di preferenze da esprimere e il voto di lista che non tutela le minoranze e i “volti nuovi”. A dispetto di quanto disciplinato dall’articolo, il Regolamento indica, invece, che l’elettore può segnare tante preferenze quanti sono i componenti complessivi del Consiglio da eleggere, e non solo i 2/3 delle preferenze sul numero totale. Su queste basi, viene meno il principio democratico di vincolare il voto ai 2/3, e ad essere penalizzate sono le minoranze e i “meno conosciuti”.
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