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In Spagna a cena con Cosa Nostra: 34 ristoranti chiamati “La mafia”. Crocetta tuona

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la mafiaDa un’inchiesta di Attilio Bolzoni su Repubblica, nasce un vero e proprio caso diplomatico” tra Sicilia e Spagna. “È una cosa inaudita” tuona il presidente della Regione, Rosario Crocetta, in relazione alla “bomba” lanciata da Bolzoni: in Spagna una catena di ristoranti ha un nome tragicamente sinistro per la nostra terra, “La Mafia”. 34 locali, sparsi in varie città della penisola iberica, contano circa 400 dipendenti.
Un indignato Crocetta ha intenzione di scrivere una lettera di protesta al presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz.
“Anche in Europa- dice il nostro governatore – c’è una risoluzione ben precisa che riguarda la lotta alla mafia, che non è una prerogativa esclusiva dell’Italia. La Spagna è stata uno dei paesi più a rischio in questi anni. Capitali mafiosi si sono trasferiti in Spagna disinvoltamente. Bisogna che ci sia una solidarietà europea”.
Ma ecco cosa svela l’inchiesta di Attilio Bolzoni. L’inviato di Repubblica racconta, da diretto testimone, dei meccanismi d’accesso a quella che viene definita dai ristioratori spagnoli, in ovvia parafrasi: “la grande famiglia”.

“Sono diventato socio di un club che si chiama “La Mafia”. Ho fatto domanda d’iscrizione, fornito i miei dati personali – nome, cognome, data di nascita, indirizzo, numero di cellulare – e messo la mia firma su una scheda. Fra un paio di settimane riceverò anche una tessera, una carta fedeltà. Mi hanno comunque assicurato che già posso considerarmi uno di loro. Sono stato accolto con un sorriso e con queste parole: “Benvenuto nella nostra grande famiglia”.
Mi hanno detto che siamo più di quarantamila, credo (e spero) di essere l’unico italiano. Per far parte di questo circolo dal nome tanto lurido e sinistro sono dovuto andare in Spagna, prima a Madrid e poi a Saragozza.
“La Vaguada” in Avenida Monforte de Lemos 36, quattro piani di luci e musiche, scale mobili, gioiellerie, aria profumata e ventuno ristoranti presi d’assalto da madrileni affamati. In un angolo, accanto a una bella terrazza, ce n’era uno diverso da tutti gli altri.
Sulla vetrina scintillante una rosa rossa e una grande scritta: La Mafia. E sotto, una scritta più piccola: la mafia se sienta a la mesa, la mafia si siede a tavola, cerimonie, comunioni, compleanni. Sono entrato. Alle 14 non c’è un posto libero, bisogna fare la fila. Venti minuti di attesa per noi, altri sono dietro e aspettano quasi un’ora davanti alcartello del “Menù San Valentino” (la festa degli innamorati o la strage di Chicago del ’29?) e intanto sbirciano dentro, fra quadri con facce di “don” e scene tratte da “Il Padrino”. Sugli schienali delle sedie i nomi dei boss più feroci o famosi dell’epopea di Cosa Nostra: Vito Cascio Ferro, Lucky Luciano, Al Capone, Giuseppe Genco Russo. Il ristorante è invaso da famiglie con bambini, alcuni sono sistemati su seggioloni con il ritratto di un sosia di Vito Corleone che mangia spaghetti. C’è anche la “zona infantil”, giochi, animatrici e un menù “para los Piccolinos de La Mafia” a 8,50 euro. Si offrono caramelle, naturalmente marca “La Mafia”. Anche i piatti sono griffati. Indovinate come. I camerieri tutti vestiti di nero, foto rigorosamente in tema (brutti ceffi), cucina italo-mediterranea, prezzi medi, servizio veloce.
È una catena in franchising. Trentaquattro in tutta la Spagna, dai Paesi Baschi fino a Gibilterra. Entro il 2015 ne apriranno altri quindici, uno anche in Portogallo. E sempre con quella grande scritta: “La Mafia”.
Pagato il conto – 70 euro per tre, due bistecche, un’insalata, una focaccia, tre bicchieri di vino e due birre – ho chiesto il modulo d’iscrizione per la carta fedeltà. Quando sarò anch’io ufficialmente nella “famiglia” potrò vantare un credito in “Euros La Mafia” del 5 per cento del valore di ogni pasto consumato, verrò sorteggiato per ricevere in premio un iPad2, potrò vincere soggiorni per due persone in alcuni hotel, avere sconti su acquisti in centri benessere “y muchos regalos màs.
A denunciare per primo l’esistenza di questa catena che salda il crimine alla cucina italiana è stato Mauro Fossati, uno studente della Statale di Milano che nel 2012 ha presentato al professore Nando dalla Chiesa una tesi su “Il caso dei ristoranti La Mafia in Spagna”. In 111 pagine l’analisi di un’avventura imprenditoriale che sfrutta le gesta dei boss più sanguinari per arricchirsi ed espandersi, puntando tanto sull’idea di famiglia. “Come buoni mafiosi pensiamo che sia la cosa più importante”, scrivono nella loro brochure. Molto marketing e pochi scrupoli.
Immaginate cosa succederebbe in Spagna se qualcuno, in Italia, aprisse un paio di trattorie dedicate ai terroristi dell’Eta. O cosa accadrebbe in Germania, se a Roma o Milano, inaugurassero tre birrerie con wurstel e crauti serviti in onore delle vecchie glorie della Rote Armee Fraktion, le brigate rosse tedesche. Ma la mafia è la mafia. A qualcuno fa sempre comodo. In ogni parte del mondo. Lo dicono loro, sul sito: “È un’eccellente immagine che ha come obiettivo diventare un lovemark internazionale”. Cos’è un lovermark? Qualcosa che ha un valore emotivo capace di ispirare sensazioni positive nel tempo, qualcosa che sa di amore, che arriva diritto al cuore. Cosa altro, meglio della mafia?”

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