Lo smart working è prepotentemente entrato a far parte delle vita di molti italiani durante la pandemia, quando l’obbligo di distanziamento sociale lo ha reso una necessità. Da allora molti hanno iniziato ad apprezzarne i vantaggi, e anche le aziende sono più aperte a consentire ai dipendenti almeno una modalità di lavoro ibrida. In Sicilia e al Sud questo ha portato a interessanti fenomeni come quello degli “smart worker di ritorno”, ma anche ritardi e problemi nella pubblica amministrazione.
Smart working e PA in Sicilia
Nonostante la soglia del 15% di lavoratori della PA in smart working fissata dal governo Draghi, nella prima metà del 2021 in Sicilia un impiegato pubblico su tre lavorava da casa. Migliaia di persone in lavoro da remoto con l’incoraggiamento del precedente governo Conte, anche per ridurre costi di bollette, affitti e servizi. Al risparmio per le casse pubbliche si affianca l’intenzione di garantire maggiore accessibilità, favorendo condizioni di lavoro migliori per i dipendenti disabili.
Dall’altro lato, alcuni imprenditori hanno lamentato un’aumentata lentezza delle pratiche, e le difficoltà legate all’impossibilità di comunicare direttamente con i funzionari in caso di dubbi o domande. Si è mostrato contrario allo smart working anche il ministro della pubblica amministrazione Renato Brunetta, che vede l’introduzione del Green Pass come un’occasione per tornare a lavorare in presenza. Si prevede quindi che presto il lavoro in remoto sarà un’eccezione, e non la regola, nella PA regionale e nazionale.
Ritorno dei lavoratori fuorisede
In Sicilia e al Sud la diffusione dello smart working ha visto un massiccio rientro dei lavoratori fuorisede, non più legati a un luogo specifico per eseguire le proprie mansioni. Nell’ultimo anno, infatti, ben il 20% di chi lavorava fuori dalla propria regione di origine ha colto l’occasione per trasferirsi altrove. Tra di loro, il 75% ha fatto ritorno alla propria città. In Sicilia sono tornati più lavoratori rispetto a quelli emigrati nello stesso periodo, segnando un +27%, che corrisponde a circa 30.000 lavoratori.
Oltre alla comprensibile voglia di riavvicinarsi a famiglia e amici, anche il tenore di vita gioca un ruolo importante nella decisione di sfruttare lo smart working per tornare alla propria regione di origine. Lo stesso stipendio permette infatti una vita con più agio al Sud e nei piccoli centri, rispetto al Nord e alle metropoli. Molti hanno poi scelto di spostarsi in comuni e località minori per godere di uno stile di vita più a misura d’uomo rispetto a quello delle grandi città. In Sicilia, per esempio, lo splendido borgo di Sambuca è stato identificato come un luogo ideale per lo smart working. Qualunque sia la ragione, sei lavoratori su dieci hanno dichiarato di non voler tornare a vivere da fuorisede, ma di preferire l’opzione smart working dal luogo di residenza.
Opportunità e professioni in smart working
La digitalizzazione è uno dei fattori fondamentali che permettono la diffusione dello smart working e dei vantaggi a esso legati. Dalle infrastrutture per i collegamenti a internet alle competenze dei cittadini, alcuni fattori sono necessari perché il lavoro in remoto continui a crescere.
Una professione per chi volesse la possibilità di lavorare in remoto è quella di web developer, molto richiesta al momento. Il corso di programmazione aulab permette di formarsi per questo ruolo in pochi mesi insegnando competenze di coding e metodologie di lavoro, come la collaborazione a distanza con un team di colleghi.
Per chi non si sentisse portato per le professioni più tecniche, esistono molti altri lavori digitali ideali per lavorare a distanza: social media manager, esperto di SEO e SEM, copywriter, traduttore, assistente virtuale o insegnante online sono solo alcune delle tante opzioni che offrono flessibilità e l’opportunità di lavorare ovunque ci si trovi.
*Sorgente dei dati statistici: studio eseguito a luglio 2021 con metodologia CAWI da mUp Research e Norstat per Facile.it
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