In seguito al reintegro di Natale Cucè a Messinambiente, Lucy Fenech e Raffaella Lombardo avevano preso le distanze dal gruppo Cambiamo Messina dal Basso che sostiene il sindaco Renato Accorinti. L’aria che si respira all’interno del gruppo è stata pesante in diverse occasioni e adesso il consigliere comunale Ivana Risitano ritiene opportuno porre chiarezza, stigmatizzando l’atteggiamento di Fenech e Lombardo che – a suo dire – hanno veicolato alla stampa i propri malumori senza prima confrontarsi all’interno di CMdB.
Che l’elezione di Renato Accorinti sia stata un fatto eccezionale è evidente a tutti, indipendentemente dalle valutazioni che si fanno sul suo operato di questi due anni: un uomo che la politica l’aveva sempre fatta “solo” da attivista, una candidatura senza grossi partiti alle spalle, senza gruppi forti di potere, senza soldi. Su questo fenomeno elettorale si sono scritti fiumi di parole. Molto meno lo si è fatto sull’altra creatura nata dentro questa esperienza, il Movimento Cambiamo Messina dal Basso.
Il triste episodio del comunicato di due consigliere di CMdB, di cui io e il resto del Movimento siamo venuti a conoscenza solo dalla stampa (nonostante una mailing list e un gruppo facebook condivisi e una riunione di Movimento fatta proprio il giorno prima), mi permette, anzi mi impone, di fare anche io chiarezza.
Il Movimento Cambiamo Messina dal Basso affonda le sue radici in una campagna elettorale molto particolare: a Renato va dato il grande merito di avere raccolto attorno alla sua figura carismatica tante energie – singoli cittadini, famiglie, gruppi organizzati – che esistevano ma non si erano mai incontrate, o si erano prima unite e poi divise; il progetto di CMdB ha avvicinato alla politica persone che se ne erano allontanate e persone che non se ne erano mai interessate. Il dato veritiero che Lucy e Raffaella affermano è che in campagna elettorale si è radunata gente di varia provenienza e molti cittadini che non si riconoscevano in alcun partito. L’aspetto superficiale della loro analisi (equivoco peraltro molto diffuso, purtroppo) è credere che quelle persone non fossero unite da un’ideologia: sorprende come si possa citare come perno dell’azione politica un programma elettorale, facendosi sfuggire che un programma elettorale è impregnato di ideologia! Troppe volte in questi due anni ho sentito dire che Renato è stato votato da persone sia di destra che di sinistra, e questo è vero (al di là del perché ciò sia accaduto: simpatia per la persona, voglia di cambiamento, stima per la sua onestà e coerenza, voto anti-PD della destra al ballottaggio, …); raramente però ho sentito questa analisi portata fino in fondo, con la – per me evidente – consapevolezza che il nostro programma elettorale, come ogni programma elettorale, è un programma “di parte”: racconta una visione della città e del mondo, dei rapporti tra le componenti della cittadinanza, dei trasporti, dei rifiuti, dei servizi sociali, della cultura, dello sport, dell’urbanistica, di ogni cosa.
Non esiste una politica neutra ed è chiaro che non riconoscersi in toto in uno o nell’altro partito e voler provare a mettere insieme esperienze diverse attorno ad alcuni valori e visioni comuni non ha mai significato quel qualunquismo su cui alcuni, ancora oggi, vorrebbero schiacciarci. Lucy e Raffaella omettono di dire che, accanto ai tanti cittadini privi di tessere partitiche, alcuni partiti hanno ufficialmente appoggiato la candidatura di Renato: erano partiti di sinistra. La storia di Renato e un determinato programma elettorale hanno fatto sì che si raccogliessero non tutti i cittadini di buona volontà, ma quelli che aderivano ad una determinata visione di città.
Il triste episodio del comunicato di due consigliere di CMdB, di cui io e il resto del Movimento siamo venuti a conoscenza solo dalla stampa (nonostante una mailing list e un gruppo facebook condivisi e una riunione di Movimento fatta proprio il giorno prima), mi permette, anzi mi impone, di fare anche io chiarezza.
Il Movimento Cambiamo Messina dal Basso affonda le sue radici in una campagna elettorale molto particolare: a Renato va dato il grande merito di avere raccolto attorno alla sua figura carismatica tante energie – singoli cittadini, famiglie, gruppi organizzati – che esistevano ma non si erano mai incontrate, o si erano prima unite e poi divise; il progetto di CMdB ha avvicinato alla politica persone che se ne erano allontanate e persone che non se ne erano mai interessate. Il dato veritiero che Lucy e Raffaella affermano è che in campagna elettorale si è radunata gente di varia provenienza e molti cittadini che non si riconoscevano in alcun partito. L’aspetto superficiale della loro analisi (equivoco peraltro molto diffuso, purtroppo) è credere che quelle persone non fossero unite da un’ideologia: sorprende come si possa citare come perno dell’azione politica un programma elettorale, facendosi sfuggire che un programma elettorale è impregnato di ideologia! Troppe volte in questi due anni ho sentito dire che Renato è stato votato da persone sia di destra che di sinistra, e questo è vero (al di là del perché ciò sia accaduto: simpatia per la persona, voglia di cambiamento, stima per la sua onestà e coerenza, voto anti-PD della destra al ballottaggio, …); raramente però ho sentito questa analisi portata fino in fondo, con la – per me evidente – consapevolezza che il nostro programma elettorale, come ogni programma elettorale, è un programma “di parte”: racconta una visione della città e del mondo, dei rapporti tra le componenti della cittadinanza, dei trasporti, dei rifiuti, dei servizi sociali, della cultura, dello sport, dell’urbanistica, di ogni cosa.
Non esiste una politica neutra ed è chiaro che non riconoscersi in toto in uno o nell’altro partito e voler provare a mettere insieme esperienze diverse attorno ad alcuni valori e visioni comuni non ha mai significato quel qualunquismo su cui alcuni, ancora oggi, vorrebbero schiacciarci. Lucy e Raffaella omettono di dire che, accanto ai tanti cittadini privi di tessere partitiche, alcuni partiti hanno ufficialmente appoggiato la candidatura di Renato: erano partiti di sinistra. La storia di Renato e un determinato programma elettorale hanno fatto sì che si raccogliessero non tutti i cittadini di buona volontà, ma quelli che aderivano ad una determinata visione di città.
COME NASCE IL MOVIMENTO CMDB
In campagna elettorale Renato ripeteva un mantra: “Guai se dopo le elezioni andate via, questa esperienza ha senso se dall’indomani ci ritroviamo a lavorare insieme: non delega ma partecipazione!”. Non è stato bravo, poi, a prendersi cura di come questo dovesse accadere. Di certo, le persone che questo mantra l’avevano preso sul serio all’indomani delle elezioni si sono poste il problema di come questa partecipazione dovesse avvenire.
Ci sono stati mesi di dibattito: restare movimento, diventare associazione, fondare un partito. Ciò che era certo è che lasciare allo spontaneismo la partecipazione era rischioso sul piano a della democrazia; un’organizzazione, una struttura – seppur minima – era necessaria proprio per garantire la partecipazione effettiva, che non poteva essere affidata al caso. Dopo lungo travaglio, abbiamo scelto la forma più fluida, quella che a molti sembrava la più vicina alla natura particolare di questa esperienza: abbiamo anche rinunciato al tesseramento e limitato l’adesione ad una firma su una Carta d’Intenti redatta durante diverse assemblee plenarie. A questo processo di creazione del Movimento, che esisteva già nei fatti ma che aveva avuto sino a quel momento la fisionomia di un comitato elettorale, hanno potuto partecipare tutti: tutti hanno potuto incidere sul processo, tutti hanno potuto dare il loro contributo, tutti erano convocati alle assemblee, tutti avrebbero potuto cambiare la direzione del percorso. Qualcuno ha scelto di non parteciparvi da subito: chi perché ha delegato e si è fidato; chi perché era purtroppo convinto sin da subito che “le elezioni le avesse vinte Renato e che dovevamo lasciarlo lavorare”. Niente di più distante da ciò che Renato ci aveva chiesto.
Chi è rimasto sa quanta fatica costi la democrazia: quante discussioni-fiume, quanti scontri, quante mediazioni, quante lentezze, quante incomprensioni, quanta complessità. Sono grata a questa esperienza perché la soddisfazione di fare le cose INSIEME è impagabile. Eppure, ad alcuni è sembrata una perdita di tempo: molto più comodo fare le cose in gruppi ristretti, o bussare direttamente alla porta del sindaco o degli assessori. Non era questa, per noi, la democrazia, né la partecipazione del basso.
Mai Lucy e Raffaella, che oggi parlano di posizioni estremiste, hanno detto, nel merito, quali esse fossero, in cosa ci discostassimo dal programma elettorale. Anche oggi, che attaccano il Movimento sul caso Cucé, non entrano nel merito politico della vicenda, cosa che invece CMdB ha fatto: noi non abbiamo accettato un’operazione dell’amministrazione che, per mere motivazioni di natura economica, seppur importanti per un ente in predissesto, lasciasse una forte ombra politica su denunce gravi su cui forse non sapremo mai la verità. La stampa ha riportato, da parte di Cucé contro Ciacci, l’accusa di un “feroce mobbing”; da parte di Ciacci contro Cucé, invece, peserebbero le accuse di gravi disobbedienze, assenze ingiustificate e non ultimo le forti pressioni per alcune assunzioni in azienda. Le colleghe consigliere affermano di non aver apprezzato il modus operandi di Ciacci, e riducono la questione alla scelta del licenziamento in tronco: “per giusta causa” dice l’ex commissario liquidatore, senza usare “gli strumenti di trasparenza e partecipazione” dicono le consigliere. A dire il vero, però, una comunicazione preventiva di Ciacci al sindaco sarebbe stata forse una delicatezza opportuna ma la sua mancanza non intacca di per sé la legittimità del provvedimento e delle sue motivazioni. Con la scelta della transazione a totale favore di Cucé e le dichiarazioni di massima stima di Renato nei confronti di Ciacci ci siamo trovati di fronte a un bell’esempio di “pasticcio politico” che compromette la trasparenza delle azioni compiute da tutti i soggetti di questa vicenda. Quella del caso Cucé non è una questione da estremisti di sinistra, non è questione di “colore”, è una questione di “trasparenza”, e in quanto tale dovrebbe stare a cuore a tutti i cittadini onesti, siano essi rossi, arcobaleno o di qualunque altro colore. (A entrambe le consigliere vorrei ricordare, ma solo per inciso, che belle occasioni per praticare in prima persona “trasparenza e partecipazione” potevano essere la condivisione del lavoro sugli istituti di democrazia diretta con il Laboratorio dei Beni Comuni, già da tempo impegnato in questo, e finanche la fuoriuscita dal Movimento.)
Quanto all’estremismo che le consigliere lamentano – incredibile è che da altre parti arrivi esattamente l’accusa opposta, quella di essere moderati e troppo schiacciati sull’amministrazione –, mi chiedo in tutta serietà se sanno esattamente a cosa fanno riferimento. Sono i contenuti politici il problema? Non credo: sono quelli del programma, anche da loro condiviso. Cosa allora? Forse ciò che dà veramente fastidio sono le faticose dinamiche umane e relazionali. Forse pesano le lentezze dei processi democratici, i toni accesi di alcuni dibattiti, i fisiologici conflitti presenti in tutti i gruppi umani, anche in quelli impegnati a costruire collettivamente. Non è intellettualmente onesto, però, accusare gli altri di essere escludenti, quando ci si esclude da soli. Gli incontri, a cui purtroppo Raffaella e Lucy hanno raramente partecipato, sono stati un complesso e prezioso esercizio di democrazia. Personalmente, sono fiera del mio Movimento e del coraggio con cui ha gestito momenti durissimi, con cui si è preso cura dell’umanità dei suoi membri, con cui ha tenuto insieme persone tanto diverse per età, carattere, esperienze. E’ falso dire che le posizioni minoritarie non abbiano avuto spazio: il dibattito è sempre aperto, quotidianamente, e persino su questioni grosse, come la nomina di Elio Conti Nibali o il Piano di Riequilibrio, sebbene si sia assunta la posizione della maggioranza degli attivisti, non si è omesso di dire che altre posizioni, seppur minoritarie, erano presenti nel Movimento.
È significativo che CMdB sia accusato di essere tutto e il contrario di tutto: fan acritici della Giunta, appiattiti sull’Amministrazione, fuoco amico, ribelli, moderati, estremisti, troppo accoglienti, troppo escludenti. Qui sta la forza che ci unisce, in questa polifonia che si declina attorno ai valori comuni che sono nel programma elettorale così come nelle storie personali di molti di noi.
Mi domando ancora come si possa dire di essere aperti all’intera cittadinanza se non si riesce a reggere la complessità delle dinamiche partecipative e si sbatte la porta tutte le volte che le regole della democrazia fanno sì che prevalga una posizione diversa dalla propria. Sono stata eletta sapendo che non avrei rappresentato me stessa e che l’assenza di vincolo di mandato non è un alibi per individualismi e autoreferenzialità. Il soggetto politico figlio di quella campagna elettorale c’è, esiste, e ha preso la forma delle anime che lo compongono e che in esso si spendono. Se ha tradito, qualcuno ci dica come. Ma, se essere “ideologicamente molto schierati” significa, oltre che coerenza ai valori del programma, rispetto anche di un “codice della partecipazione” (che non dice: “se non vince la mia idea, me ne vado”), non c’è nessun tradimento, e forse a tradire sono stati quelli che la partecipazione l’hanno usata come slogan ma poi non ne hanno assunto i rischi e gli oneri in termini di pazienza, perseveranza, capacità di dialogo, gestione dei conflitti e accettazione delle diversità.
In campagna elettorale Renato ripeteva un mantra: “Guai se dopo le elezioni andate via, questa esperienza ha senso se dall’indomani ci ritroviamo a lavorare insieme: non delega ma partecipazione!”. Non è stato bravo, poi, a prendersi cura di come questo dovesse accadere. Di certo, le persone che questo mantra l’avevano preso sul serio all’indomani delle elezioni si sono poste il problema di come questa partecipazione dovesse avvenire.
Ci sono stati mesi di dibattito: restare movimento, diventare associazione, fondare un partito. Ciò che era certo è che lasciare allo spontaneismo la partecipazione era rischioso sul piano a della democrazia; un’organizzazione, una struttura – seppur minima – era necessaria proprio per garantire la partecipazione effettiva, che non poteva essere affidata al caso. Dopo lungo travaglio, abbiamo scelto la forma più fluida, quella che a molti sembrava la più vicina alla natura particolare di questa esperienza: abbiamo anche rinunciato al tesseramento e limitato l’adesione ad una firma su una Carta d’Intenti redatta durante diverse assemblee plenarie. A questo processo di creazione del Movimento, che esisteva già nei fatti ma che aveva avuto sino a quel momento la fisionomia di un comitato elettorale, hanno potuto partecipare tutti: tutti hanno potuto incidere sul processo, tutti hanno potuto dare il loro contributo, tutti erano convocati alle assemblee, tutti avrebbero potuto cambiare la direzione del percorso. Qualcuno ha scelto di non parteciparvi da subito: chi perché ha delegato e si è fidato; chi perché era purtroppo convinto sin da subito che “le elezioni le avesse vinte Renato e che dovevamo lasciarlo lavorare”. Niente di più distante da ciò che Renato ci aveva chiesto.
Chi è rimasto sa quanta fatica costi la democrazia: quante discussioni-fiume, quanti scontri, quante mediazioni, quante lentezze, quante incomprensioni, quanta complessità. Sono grata a questa esperienza perché la soddisfazione di fare le cose INSIEME è impagabile. Eppure, ad alcuni è sembrata una perdita di tempo: molto più comodo fare le cose in gruppi ristretti, o bussare direttamente alla porta del sindaco o degli assessori. Non era questa, per noi, la democrazia, né la partecipazione del basso.
Mai Lucy e Raffaella, che oggi parlano di posizioni estremiste, hanno detto, nel merito, quali esse fossero, in cosa ci discostassimo dal programma elettorale. Anche oggi, che attaccano il Movimento sul caso Cucé, non entrano nel merito politico della vicenda, cosa che invece CMdB ha fatto: noi non abbiamo accettato un’operazione dell’amministrazione che, per mere motivazioni di natura economica, seppur importanti per un ente in predissesto, lasciasse una forte ombra politica su denunce gravi su cui forse non sapremo mai la verità. La stampa ha riportato, da parte di Cucé contro Ciacci, l’accusa di un “feroce mobbing”; da parte di Ciacci contro Cucé, invece, peserebbero le accuse di gravi disobbedienze, assenze ingiustificate e non ultimo le forti pressioni per alcune assunzioni in azienda. Le colleghe consigliere affermano di non aver apprezzato il modus operandi di Ciacci, e riducono la questione alla scelta del licenziamento in tronco: “per giusta causa” dice l’ex commissario liquidatore, senza usare “gli strumenti di trasparenza e partecipazione” dicono le consigliere. A dire il vero, però, una comunicazione preventiva di Ciacci al sindaco sarebbe stata forse una delicatezza opportuna ma la sua mancanza non intacca di per sé la legittimità del provvedimento e delle sue motivazioni. Con la scelta della transazione a totale favore di Cucé e le dichiarazioni di massima stima di Renato nei confronti di Ciacci ci siamo trovati di fronte a un bell’esempio di “pasticcio politico” che compromette la trasparenza delle azioni compiute da tutti i soggetti di questa vicenda. Quella del caso Cucé non è una questione da estremisti di sinistra, non è questione di “colore”, è una questione di “trasparenza”, e in quanto tale dovrebbe stare a cuore a tutti i cittadini onesti, siano essi rossi, arcobaleno o di qualunque altro colore. (A entrambe le consigliere vorrei ricordare, ma solo per inciso, che belle occasioni per praticare in prima persona “trasparenza e partecipazione” potevano essere la condivisione del lavoro sugli istituti di democrazia diretta con il Laboratorio dei Beni Comuni, già da tempo impegnato in questo, e finanche la fuoriuscita dal Movimento.)
Quanto all’estremismo che le consigliere lamentano – incredibile è che da altre parti arrivi esattamente l’accusa opposta, quella di essere moderati e troppo schiacciati sull’amministrazione –, mi chiedo in tutta serietà se sanno esattamente a cosa fanno riferimento. Sono i contenuti politici il problema? Non credo: sono quelli del programma, anche da loro condiviso. Cosa allora? Forse ciò che dà veramente fastidio sono le faticose dinamiche umane e relazionali. Forse pesano le lentezze dei processi democratici, i toni accesi di alcuni dibattiti, i fisiologici conflitti presenti in tutti i gruppi umani, anche in quelli impegnati a costruire collettivamente. Non è intellettualmente onesto, però, accusare gli altri di essere escludenti, quando ci si esclude da soli. Gli incontri, a cui purtroppo Raffaella e Lucy hanno raramente partecipato, sono stati un complesso e prezioso esercizio di democrazia. Personalmente, sono fiera del mio Movimento e del coraggio con cui ha gestito momenti durissimi, con cui si è preso cura dell’umanità dei suoi membri, con cui ha tenuto insieme persone tanto diverse per età, carattere, esperienze. E’ falso dire che le posizioni minoritarie non abbiano avuto spazio: il dibattito è sempre aperto, quotidianamente, e persino su questioni grosse, come la nomina di Elio Conti Nibali o il Piano di Riequilibrio, sebbene si sia assunta la posizione della maggioranza degli attivisti, non si è omesso di dire che altre posizioni, seppur minoritarie, erano presenti nel Movimento.
È significativo che CMdB sia accusato di essere tutto e il contrario di tutto: fan acritici della Giunta, appiattiti sull’Amministrazione, fuoco amico, ribelli, moderati, estremisti, troppo accoglienti, troppo escludenti. Qui sta la forza che ci unisce, in questa polifonia che si declina attorno ai valori comuni che sono nel programma elettorale così come nelle storie personali di molti di noi.
Mi domando ancora come si possa dire di essere aperti all’intera cittadinanza se non si riesce a reggere la complessità delle dinamiche partecipative e si sbatte la porta tutte le volte che le regole della democrazia fanno sì che prevalga una posizione diversa dalla propria. Sono stata eletta sapendo che non avrei rappresentato me stessa e che l’assenza di vincolo di mandato non è un alibi per individualismi e autoreferenzialità. Il soggetto politico figlio di quella campagna elettorale c’è, esiste, e ha preso la forma delle anime che lo compongono e che in esso si spendono. Se ha tradito, qualcuno ci dica come. Ma, se essere “ideologicamente molto schierati” significa, oltre che coerenza ai valori del programma, rispetto anche di un “codice della partecipazione” (che non dice: “se non vince la mia idea, me ne vado”), non c’è nessun tradimento, e forse a tradire sono stati quelli che la partecipazione l’hanno usata come slogan ma poi non ne hanno assunto i rischi e gli oneri in termini di pazienza, perseveranza, capacità di dialogo, gestione dei conflitti e accettazione delle diversità.
UN PROBLEMA POLITICO SERIO
Credo che qui si tratti di un problema politico allarmante: il rischio dell’assenza di “visione politica”. L’uso di espressioni generiche e vaghe (il “bene della città”, la “politica come servizio”… ma quale bene? quale città? servizio a chi?) fa intravedere un pericolo: in un tempo di crisi delle ideologie e della rappresentanza, la scelta di non appartenere a nulla, di essere legati esclusivamente ad un leader carismatico, di non rendere conto a nessuno o di farlo solo a quelli che di volta in volta si trovano in occasionale sintonia, delegittima i “corpi intermedi”, tende a vanificare gli sforzi di costruzione di progetti di più lunga durata, pone problemi seri di democrazia: il rischio grosso è che la crisi dei partiti inneschi una crisi più generale di tutti gli organismi di prossimità, a esclusivo vantaggio degli individualismi, di per sé refrattari a ogni logica comunitaria e reciprocamente trasformativa. Per un’esperienza come quella di Renato Accorinti, poi, che non si è limitata a raccogliere persone attorno al carisma di un singolo ma che a queste persone ha chiesto la partecipazione effettiva, è un rischio grossissimo. Pensando proprio a un simile rischio, ho appreso con sofferenza del duro colpo sferrato a questa esperienza e al Movimento che ne è disceso dalla capogruppo del Gruppo Consiliare che porta proprio il nome di Cambiamo Messina dal Basso, ma ne respingo con assoluta fermezza tutte le motivazioni.
Oggi come due anni fa il Movimento vuole e lotta per essere un soggetto politico alternativo ai partiti tradizionali, un crogiolo di diversità che hanno un orizzonte di valori condiviso, capace di costruire e di criticare per costruire meglio. La mia gratitudine è immensa per chi ha scelto di dar forza a CMDB sia come soggetto politico sia come comunità di relazioni, a volte difficili, è vero, ma sempre estremamente arricchenti. La vittoria dell’esperienza di Renato Accorinti sarà completa non solo se alla fine del mandato la città sarà migliore, ma anche se le sarà consegnato in eredità, in questi tempi “liquidi” governati dalla tecnocrazia e dai leaderismi autoritari, un soggetto comunitario capace di essere un autentico laboratorio di democrazia.
Credo che qui si tratti di un problema politico allarmante: il rischio dell’assenza di “visione politica”. L’uso di espressioni generiche e vaghe (il “bene della città”, la “politica come servizio”… ma quale bene? quale città? servizio a chi?) fa intravedere un pericolo: in un tempo di crisi delle ideologie e della rappresentanza, la scelta di non appartenere a nulla, di essere legati esclusivamente ad un leader carismatico, di non rendere conto a nessuno o di farlo solo a quelli che di volta in volta si trovano in occasionale sintonia, delegittima i “corpi intermedi”, tende a vanificare gli sforzi di costruzione di progetti di più lunga durata, pone problemi seri di democrazia: il rischio grosso è che la crisi dei partiti inneschi una crisi più generale di tutti gli organismi di prossimità, a esclusivo vantaggio degli individualismi, di per sé refrattari a ogni logica comunitaria e reciprocamente trasformativa. Per un’esperienza come quella di Renato Accorinti, poi, che non si è limitata a raccogliere persone attorno al carisma di un singolo ma che a queste persone ha chiesto la partecipazione effettiva, è un rischio grossissimo. Pensando proprio a un simile rischio, ho appreso con sofferenza del duro colpo sferrato a questa esperienza e al Movimento che ne è disceso dalla capogruppo del Gruppo Consiliare che porta proprio il nome di Cambiamo Messina dal Basso, ma ne respingo con assoluta fermezza tutte le motivazioni.
Oggi come due anni fa il Movimento vuole e lotta per essere un soggetto politico alternativo ai partiti tradizionali, un crogiolo di diversità che hanno un orizzonte di valori condiviso, capace di costruire e di criticare per costruire meglio. La mia gratitudine è immensa per chi ha scelto di dar forza a CMDB sia come soggetto politico sia come comunità di relazioni, a volte difficili, è vero, ma sempre estremamente arricchenti. La vittoria dell’esperienza di Renato Accorinti sarà completa non solo se alla fine del mandato la città sarà migliore, ma anche se le sarà consegnato in eredità, in questi tempi “liquidi” governati dalla tecnocrazia e dai leaderismi autoritari, un soggetto comunitario capace di essere un autentico laboratorio di democrazia.
(299)