Accorinti sindaco, ad un anno dal suo insediamento a Palazzo Zanca, c’è a chi piace e a chi non piace ma, bisogna ammetterlo, nel bene e nel male ci ha resi famosi. Nella città verminaio, così definita da quel Vendola che, probabilmente, nella rosa degli aggettivi dispregiativi ne ha saggiamente scelto uno che non contenesse la “S” (consonante che gli viene estremamente arduo pronunciare), un sindaco che occupa pagine di cronache nazionali solo perchè indossa maglietta e jeans in occasioni istituzionali o imbraccia la bandiera della Pace nella giornata dedicata alle Forze Armate, o altre “sbracature” simili, non è roba da poco, specie se si ricorda che quelle stesse pagine furono occupate da sindaci indagati per nullafacenza o “troppafacenza”.
In pratica, Renato Accorinti rivoluzionario attivo era e rivoluzionario passivo resta. Dalla prima fila dei cortei alla “corte” amministrativa il passo non è breve, diciamolo, ma lui è riuscito ad unire le passioni del passato alle ambizioni del presente. Adesso lui può. E fa.
Mentre il suo elettorato e parte della città, quella che pur non votandolo confidava nel “nuovo”, attendono che il programma di Accorinti candidato a sindaco prenda forma e contenuti, Lui, fedele ai suoi trascorsi, coerente oltre il midollo, va dal Dalai Lama per invitarlo a Messina, sale sul cocchio della Vara, si prepara a tagliare il nastro di una pista ciclabile che, bella, utile a chi pedala e a chi sotto sforzo deve sottoporsi ad elettrocardiogramma ma, diciamolo, non è che fosse tra le priorità cittadine.
Il sindaco di tutti e soprattutto di se stesso non deroga. Non deroga dal suo da sempre professato ” Città libera dai Tir”, e dispone una bella cosa: la chiusura del Cavalcavia, di giorno, ai bisonti della strada, creando uno scontro non da poco con gli unici imprenditori che, va detto, a Messina, pur con notevole ritorno economico, hanno investito in pensieri, parole ed opere.
Ha ragione? Certamente. La città ha patito morti stritolati dalle ruote di un tir; la città è stanca di essere martoriata dall’essere “servitù di passaggio” per il traffico gommato. Ma la città non ha ancora alcuna contezza di quanto produca in termini economici questa servitù, visto che gli incassi dell’Ecopass sembrano top secret.
E parliamo di waterfront, quella porzione di terra-mare in perenne attesa di riqualificazione. Se ne parla, tanto: ” arrivano i soldi dalla Regione; no, non arrivano”, ma i fatti mancano.
Parliamo anche di turismo trascurato, che va già bene quando allo straniero consentiamo di attraversare la strada senza essere falciato, o gli restituiamo la collanina che il nostrano scippatore gli strappa dal collo. E basta. Il massimo dell’accoglienza messinese si ferma qui. Ah no, dimenticavo il trenino sgangherato ( residuo di passate amministrazioni) che invece di Bianca e Bernie trasporta, arrancando, per la città turisti in cerca dell’emozione di un cumulo di rifiuti o di un traffico da incubo.
Un dato positivo? Lo abbiamo avuto la scorsa settimana con il consuntivo 2013 presentato dalla giunta: il primo in attivo dopo due anni consecutivi di deficit. Il Comune registra un avanzo di circa 6,5 milioni di euro, la cui maggior parte è vincolata per la costituzione del fondo di svalutazione dei residui attivi con maggiore anzianità o per spese in conto capitale.
Insomma, una mano lava l’altra ma nessuna delle due lava la faccia, e siamo sempre punto e accapo.
Un anno fa la scelta di Accorinti sindaco ci ha dato consapevole certezza che anche a Messina esiste il voto libero.
Un anno di Accorinti ci ha tolti dal sospetto che mentre il popolo paga, chi amministra gode e intrallazza; che esiste anche una politica sana ed onesta ma, almeno sin qui, tranne qualche bagliore, come gli investigatori nei gialli più intricati, la città “brancola nel buio”.
Concludo la “parabola” Accorinti con pertinenza:”
Ci sono solo due giorni all’anno in cui non puoi fare niente:
uno si chiama ieri, l’altro si chiama domani, perciò oggi è il giorno giusto per amare, credere, fare e, principalmente, vivere. Dalai Lama.”
Patrizia Vita
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