La storia di Salvatore insegna. Succede che la vita, l’esperienza e, probabilmente, anche il mio lavoro, mi abbiano portato a comprendere, negli anni, come di una vicenda non vi sia una sola chiave di lettura, ma, tanti punti di vista e, soprattutto, tante emozioni attraverso cui una realtà, apparentemente unica, possa essere filtrata, da protagonisti e spettatori, in modo assolutamente diverso.
Ma la storia di Salvatore, pur offrendo spunti di riflessione polemici, argomentazioni molteplici e di contestazioni particolarmente di moda, in realtà, invece, è una delle pochissime vicende umane che possono essere esaminate, valutate, misurate da un solo punto di vista e occorre analizzare senza perdersi in sterili diatribe politicamente corrette.
C’è un bel ragazzo, un ragazzo con gli occhi vivi, un ragazzo alla moda, con i capelli lunghi ed un sorriso disarmante sempre dipinto sul volto.
Ha un modo tutto particolare di interpretare emozioni e sentimenti, un modo speciale che solo le persone sensibili riescono a capire e condividere.
La cosa di cui è più geloso sono i gesti, le sue abitudini quotidiane, le persone che conosce bene e con le quali ha confidenza, lui “avverte” l’amore con tutti i suoi sensi, lo sa vedere, ascoltare, sentire e lo sa trasmettere allo stesso modo.
Questo bel tipo frequenta l’Istituto Ernesto Basile di Messina, fa il liceo artistico e la sensibilità del suo animo gli consente di studiare con profitto.
È un ragazzo assennato ed ubbidiente, ha tanti amici e vuole andare in gita a Praga, la gita del terzo anno di liceo.
Non vede l’ora di partire e di divertirsi e se lo merita anche, come ogni bravo studente e come ogni bravo figlio.
Il suo nome è Salvatore e, al pari di tutti i diciassettenni, ha fame di sogni e di esperienze da viversi con i suoi coetanei e nello stesso modo in cui i suoi coetanei se le vivono.
Al suo fianco tante belle intelligenze, una madre leonessa e una cara e affezionatissima insegnante di sostegno, con la quale Salvatore trascorre 18 ore a settimana perché è affetto dalla sindrome di Down.
Tutti vogliono che lui partecipi alla gita: la madre, il padre, l’insegnante di sostegno e anche la scuola ha dato, formalmente, la disponibilità per consentire la partenza di Salvatore.
La preside ha, infatti, messo a disposizione per accompagnarlo ben due insegnanti di sostegno ed ha perfino dichiarato la possibilità, da parte della scuola, di pagare il viaggio anche alla madre del ragazzo.
Tuttavia, quello che formalmente la scuola autorizza, nella sostanza, categoricamente vieta.
Infatti, per ragioni ancora sconosciute o meglio forse solo per ragioni personali, la presidenza si oppone alla partenza dell’unica persona a cui sarebbe logico affidare Salvatore in gita, la sua insegnante di sostegno, con cui il ragazzo condivide le proprie giornate per ben 18 ore durante la settimana.
Il rifiuto immotivato ed infondato di far partire la professoressa, mette in condizione i genitori, prima, preoccupati per l’eventuale prospettarsi di problemi in viaggio in un paese lontano, ed il ragazzo, poi, per mancanza di affiatamento e intimità, confidenza e cordialità con altri insegnanti di sostegno, di rifiutare la partecipazione all’evento.
Dal canto suo, ovviamente la madre non è per nulla lusingata dall’offerta della scuola di partire con il ragazzo.
Al contrario, tra le righe, fa capire quanto patisca questa decisione come l’ennesima dimostrazione che alla scuola non stia per nulla a cuore il benessere dell’alunno.
“Non credo affatto che potrebbe essere utile a Salvatore che io lo accompagni. Le gite sono esperienze che servono ai ragazzi per acquisire autonomia e indipendenza…per quanto possibile…poi io non consentirei mai che la scuola mi pagasse un viaggio con mio figlio. Se voglio partire con Salvatore lo faccio come e quando voglio io e lo faccio per vivermi un’esperienza con mio figlio”.
La scuola è irremovibile, sembra non rispondere neppure di fronte all’eco che sui social questa vicenda sta suscitando.
La preside continua a ripetere che la professoressa di sostegno di Salvatore non può partire per la gita, adducendo come scusa la mancanza di disponibilità della stessa.
Dalla madre del ragazzo, tuttavia, apprendiamo che non soltanto la professoressa ha sempre ed incondizionatamente offerto la sua disponibilità alla partenza, ma ha perfino comunicato le sue intenzioni all’Istituto ufficialmente, attraverso posta certificata.
Adesso abbiamo tutti gli elementi della vicenda.
Dicevamo…Lasciamo da parte contenuti importanti, spunti di riflessione polemici, argomentazioni molteplici e contestazioni particolarmente di moda…pensiamo a Salvatore.
Mettiamoci nei panni di un ragazzo, di un qualsiasi ragazzo, a cui viene negato il diritto al divertimento, alla crescita, all’istruzione, alla conoscenza, alla conquista di piccoli spazi di parziale importantissima autonomia.
E pensiamo ai motivi per cui si sta negando questo diritto.
C’è solo un punto di vista da cui analizzare questa vicenda ed è quello di Salvatore, dei suoi diciassette anni e delle possibilità che la vita gli offre.
Solo una, l’emozione attraverso cui filtrare la vicenda: la delusione di un ragazzo che si vede negato un diritto senza una ragione.
Di un ragazzo che ha compreso da tempo cosa significhi la parola sacrificio.
Di un ragazzo che, questa volta, potrebbe essere messo in condizione di vivere un’esperienza con i suoi compagni e come loro.
Di un ragazzo per cui la delusione è un sentimento amplificato, dal suo stato, dall’educazione ricevuta nei valori della giustizia, della famiglia e delle istituzioni, dalle certezze che credeva aver raggiunto.
Ma Salvatore la speranza non l’ha persa e crede ancora che la preside cambierà idea, crede che ancora non abbia letto la mail della sua prof. di sostegno. Vogliamo credere che abbia ragione.
Vittoria Gangemi
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