di Patrizia Vita
C’è un elemento che, da giornalista, mi ha fatto sempre preferire la
Cronaca nera alla Politica: che nella prima chi commette illecito viene
catturato, sbattuto in prima pagina, se gli va male anche condannato, se
gli va bene, comunque è sputtanato. In politica, invece, l’illecito è
consuetudine ormai “digerita” dal cittadino. La “nutriamo”, anche, con
i nostri soldi, questa politica ingorda che “mangia” a pieno titolo,
con la benedizioni di leggi, decreti, delibere, determine, con cui si
“apparecchia la tavola” dell’eletto e di chi gli si siede accanto. Ma
c’è un momento in cui anche il lecito diventa illecito. Un passaggio
piccolo piccolo, un puntino appena, che segna il valico. Messina lo ha
registrato questo passaggio. E’ illecito, infatti, amorale,
(l’aggettivo è forte ma ci sta) che con una città inchiodata da debiti,
disoccupazione, una città “affamata”, qualcuno arraffi a piene mani.
Anche se lecito prendere, anche se legge glielo consente. E’
perfettamente in regola, infatti, il dirigente del Comune che prende
per indennità di risultato 75mila euro l’anno, (oltre lo stipendio,
ovvio). Quella regola, però, va moralmente messa in discussione quando
il Comune di cui si parla è quello di Messina, da anni in rosso, con
migliaia di lavoratori, le cui entrate dipendono da quel Palazzo, che
bussano alla porta per avere quanto gli spetta: gli stipendi di mesi di
lavoro. Senza indennità di risultato, loro che il risultato lo danno e
lo mostrano. Loro che puliscono strade; loro che guidano tram, autobus;
loro che assistono anziani, bambini, disabili; loro che puliscono
ospedali, tribunali; loro che…
Sono tanti quelli che lo stipendio se lo guadagnano davvero. Sono tanti
più dei 24 che a Palazzo Zanca hanno preso un milione e ottocentomila
euro per l’indennità di un risultato che non si è mai visto. E ne
volevano altri per l’anno dopo. Sono 24 che la notte dovrebbero avere
il sonno disturbato da quell’azione, legittima, di spartizione di una
somma che, se lasciata nelle casse comunali, certamente non avrebbe
coperto il disavanzo, ma incassata ha coperto loro di… altro. Non
conosciamo i nomi di questi bravi dirigenti, nè ci interessa
conoscerli: tanto, è tutto lecito. Come nel lecito ha agito quel
Ruggeri sempre sorridente (e chi non riderebbe al posto suo) che, “a
titolo gratuito” ha diretto l’Ato 3 per 4 anni. Quattro anni che al
Comune sono costati 136mila euro di fine rapporto.
Duemilaottocentotrentatre euro al mese per un perito industriale che
doveva farlo gratis quel lavoro, visto che il palazzo già gli pagava lo
stipendio di Capo di Gabinetto; visto che, sempre dal Comune, ebbe
affidate negli anni perizie milionarie. Tante. Tante da far lievitare
nei suoi confronti un debito di oltre 600mila euro.
Raccomandato? Ma quando mai! Da ieri, Antonio Ruggeri quasi non lo
conosce nessuno. Nessuno sa chi lo abbia portato alla “corte” di
Buzzanca. Lui, l’ex sindaco, dichiara sia stato il duo Beninati-
d’Alcontres a metterlo sulla sua strada. Beninati, di rimando, nega la
collocazione. E che fa il “baciato dal Signore”? Intasca i soldi di un
incarico gratuito, dopo aver intascato quelli “giusti” da funzionario
comunale e da perito esterno, ed è a posto con la sua coscienza. E oggi
duemila da mesi senza stipendio sfilano in corteo per le vie di
Messina. Ecco perchè preferisco la cronaca nera.
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