E chi dormiva la notte prima del giorno dei morti a casa mia? Non certo io, che stavo con le orecchie tese a sentire rumori estranei alla casa. Una casa respira la notte, ha ‘silenzi sonori’ che conosce solo chi la abita. Io aspettavo l’inusuale: un cigolio dell’anta dell’armadio, oppure una chiave muoversi piano nella toppa, o una finestra che si apriva lentamente. Era così che secondo me avrei compreso che finalmente erano arrivati, i defunti della mia famiglia. Che erano lì, tra noi vivi, nascosti nel buio ma presenti all’appuntamento annuale con chi avevano lasciato ‘quaggiù’.
I ‘miei morti’ mi stavano proprio simpatici: non venivano mai a mani vuote. Portavano la frutta martorana, i biscotti odorosi di chiodi di garofano, chiamati con scarsa fantasia ‘le ossa dei morti’, e portavano anche giocattoli. Insomma, nella gara con Babbo Natale e la Befana (generosi anche se estranei alla famiglia) il cui arrivo era prossimo, la competizione era dura, e quasi quasi vincevano i morti.
La notte prima del giorno dei morti, io crollavo di stanchezza verso le 3, senza aver udito alcun suono che mi significasse il loro arrivo in casa. Ma al mattino, appena sveglia, correvo verso l’armadio della camera da letto dei miei genitori. E lì, magìa, mi accorgevo che in un modo o nell’altro, nonostante la ‘guardianìa’, mi avevano fregata: i morti me l’avevano fatta sotto il naso, erano passati sì da casa mia. Anche se l’armadio non aveva cigolato, anche se la chiave nella toppa non si era sentita e la finestra non si era aperta, quei furbacchioni dei morti c’erano stati. Trovavo tutto quello che mi aspettavo: dolci e giocattoli.
Come ringraziarli? L’occasione mi arrivava quella stessa mattina, quando con mamma e papà andavamo al cimitero, a portare fiori freschi sulla tomba dei nonni e dello zio morto giovanissimo, che io avevo solo 2 anni quand’era successo e non lo ricordavo proprio, ma gli volevo bene in fiducia.
Gran Camposanto Di Messina. Già il nome è imponente, ancora di più la vista, specie agli occhi di una bambina di 5/6 /7 anni. Il percorso per arrivare dai miei morti era moderatamente lungo, ma io me lo ‘godevo’ tomba dopo tomba. Le sculture monumentali mi affascinavano, alcune mi atterrivano, come le mani di Ettore Castronovo, radiologo messinese, magre, adunche, tentacolari; altre mi intenerivano, come quelle dei bambini. E i fiori, tanti e colorati; e l’odore dei fiori, forte, intenso; e le cappelle, tetti alti, con angeli dalle grandi ali aperte, Madonne misericordiose. Le scalinate, che solo noi bambini affrontavamo sereni, di corsa, saltando i gradini grossi, in pietra, a due a due, lasciandoci dietro l’affanno dei nonni (quelli vivi in visita a quelli morti) e i richiami dei genitori.
E la gente. Quanta ne incontravi al cimitero quel giorno. Le braccia cariche di fiori, bidoni in mano da riempire alla fontana, dove ci si metteva in fila, attenti a non mettere le scarpe nella pozzanghera che si formava lì, ai piedi della fonte. E gli incontri dei compagni di classe, lì tra le tombe, tra i viali alberati del gran Camposanto di Messina. ” Tuo nonno dov’è sepolto? Vicino al mio, e che ti ha portato?” Discorsi ‘funebri’ di uso comune tra bambini che s’incontravano, allegri, in un giorno nato triste.
Che gran festa la festa dei morti. Eravamo tutti contenti quel giorno. I vivi e i morti.
Patrizia Vita
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