La UE insiste nel bacchettare l’Italia e con una lettera asciutta e sintetica fa presente che non va affatto bene che la nostra legge di stabilità preveda il rispetto del patto entro il 2017 e non entro 2015, come ha deciso a suo tempo l’Europa. E qui sorge un legittimo dubbio: chi l’avrebbe deciso e perché? Si tratta di decisioni che nel minimo vanno considerate obsolete, anche se, a ben vedere, in ogni caso, tali decisioni hanno il crisma dell’illegittimità e, quindi, il sapore della follia.
La Francia non è di fatto d’accordo e Hollande dichiara che il suo obiettivo principale è la crescita e non ritiene, evidentemente, che la politica dell’austerità sia una soluzione in tal senso, ma non ha la capacità, l’autorità e l’autorevolezza di imporsi, facendo il gioco della superdotata di “attributi” Le Pen, che gli sta con fiato sul collo, soffiandovi un alito di antieuropeismo che si prevede possa diventare molto presto un vento impetuoso; la Grecia è allo spasimo, boccheggia da anni e in seno all’Europa non conta alcunché; solo 4 paesi su 28 (l’Estonia, la Finlandia, il Lussemburgo e la Svezia) negli ultimi 17 anni sono rimasti sotto il 3% del deficit, mentre per gli altri il rispetto del 3% è stata solo un’eccezione e non certo la regola; Cipro, Croazia, Francia, Grecia, Irlanda, Malta, Polonia, Portogallo, Slovenia, Spagna (oltre all’Italia, uscita da questa situazione “per un attimo” solo nel 2013) sono paesi sorvegliati speciali; l’Inghilterra (paese anch’esso sorvegliato speciale, ma da lungimirante e furbacchione non ha adottato l’euro) minaccia con sempre più decisione di uscire fuori dall’Europa, tanto che Cameron ha dichiarato oggi che non intendono scucire 2,1 miliardi in più.
Sembra che nessuno si sia reso conto (l’Italia sicuramente non dà segni d’intendimento in tal senso) che l’Unione europea con varie silenti modifiche di regolamenti (con l’intento di far sì che i vari paesi concorressero alla crescita dell’Unione) ha snaturato il contenuto e lo spirito dei vari Trattati, abrogando nel corso degli anni illegittimamente il diritto/potere degli Stati di concorrere alla crescita con la propria politica economica, sostituendola con l’obbligo – gravante sugli Stati – del pareggio di bilancio, combinandone tempi, modi e sanzione: con fonti di diritto di secondo grado rispetto ai Trattati (fondi diritto di primo grado) è stato cancellato di fatto l’obiettivo della crescita e non è stato previsto alcun altro potere atto a produrla.
Chi beneficia di tutto ciò? Il mondo bancario e finanziario: tutta la politica dell’Unione europea sembra tesa a fare da zerbino ai veri padroni del mondo, costi quel che costi, mentre l’euro non è altro che carta straccia, visto che ad esso non corrisponde una comune riserva aurea.
E l’Italia? La Mogherini, povera ragazzotta (buttata in un gioco che pare non sia in grado neanche di comprendere) non viene tenuta in alcuna considerazione nelle stanze dei bottoni a Bruxelles (al di là di nomine pietite e imposte), Renzi gioca a fare il padreterno, minimizzando la portata della striminzita letterina europea, dalle cui righe promana con gentilezza ineffabile il dictat “o fai così o vi arrivano sanzioni” e di fronte a questo pericolo (ormai per molti benedetto) se ne esce con la frase da guascone “uno o due miliardi li mettiamo subito”: e che ci vuole? Basta inventarsi qualche altra tassa ed il gioco è fatto. Si, perché, al di là del giochino degli 80 euro per stipendiati e bebè, senza che la gente se ne sia resa ancora conto, il Governo dell’”enfant prodìge” fiorentino ci ha ammannito finora altre 4 nuove tasse e introdotto l’obbligo del POS pure per i professionisti (con grande gaudio degli istituti bancari).
Di fronte ad un’Europa così arrogante e inconcludente, quando non dannosa, non c’è da stupirsi se ormai il virus dell’antieuropeismo sia ovunque sempre più dilagante e poco importa se l’uscita da questo scassato ed inutile carrozzone potrebbe comportare ulteriori sacrifici per gli italiani (che peggio di così, difficilmente potranno stare): la libertà non ha prezzo… per tutto il resto c’è il dolce sapore della dignità.
Vicky Amendolìa
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