TaoOperaFestival: manca poco al “Don Giovanni” interpretato da Panajotis. L’intervista

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«Don Giovanni è un uomo profondamente turbato alla costante ricerca dell’amore materno, non è solo il seduttore alla spasmodica ricerca del piacere che tutti credono». A parlare è il basso-baritono tedesco di oirgini greche  Iconomou Panajotis, che il 4 agosto salirà sul suggestivo palcoscenico del Teatro Antico di Taormina per interpretare uno dei personaggi più rappresentativi della storia del melodramma: il Don Giovanni creato dal genio di Wolfgang Amadeus Mozart.

A firmare questa nuova produzione, in replica il 9 e il 12 agosto, è Enrico Castiglione, regista e scenografo apprezzato nei cinque continenti per il raffinato gusto artistico che caratterizzano tutti i suoi lavori. Castiglione è reduce dallo straordinario successo riscosso con l’anteprima di Carmen, andata in scena in diretta mondovisione nei cinema, di cui ha firmato anche la regia televisiva. Anche per Don Giovanni, accanto a lui c’è la costumista Sonia Cammarata che sempre riesce con i suoi figurini a ricreare fantastiche atmosfere storiche, imbevute di sofisticata modernità. Oltre al “Burlador” di Iconomou Panajotis, vedremo il Commendatore del basso Enrico Rinaldo, mentre nel ruolo di Donna Anna si alterneranno i soprani Laura Giordano (4, 12 agosto) ed Elena Borin (9 agosto). Don Ottavio sarà il tenore Blagoj Nacoski, Donna Elvira il soprano Tian Hui, Leporello il basso Andrea Patucelli, Masetto il basso Daniele Piscopo, Zerlina il mezzosoprano Marina Ziatkova. L’orchestra del Taormina Opera Festival sarà guidata dal maestro Stefano Romani.

Il Don Giovanni del Salisburghese è universalmente noto come una delle creazioni di teatro musicale più belle e pregnanti che siano mai state scritte, e appartiene alla “trilogia” composta da Mozart tra il 1785 e il 1790 – Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte – sui libretti in lingua italiana del poeta trevigiano Lorenzo Da Ponte. Enrico Castiglione ha inserito questo titolo all’interno del Taormina Opera Festival insieme alla Carmen di Bizet e Il Barbiere di Siviglia di Rossini, per formare un’altra “trilogia”, questa volta dedicata alla città di Siviglia. Nella capitale andalusa si svolge anche il Don Giovanni e Iconomou Panajotis, nato a Monaco di Baviera dai genitori greci, è apprezzato in tutto il mondo per l’interpretazione del latin lover più celebre della storia dell’opera per il Teatro Verdi di Pisa. Nato nel 1971, Panajotis debutta come solista nel 1982 a Colonia in Ceremony of Carols di Benjamin Britten. Da allora ha interpretato un variegato campionario di personaggi: dal Sarastro de Il flauto magico alloSparafucile del Rigoletto, passando per il Basilio de Il Barbiere di Siviglia, e tanti altri ancora.

 

Per lei il 4 agosto sarà la prima volta Taormina, mentre ha già lavorato con il maestro Castiglione…

«Esatto. Non ho mai avuto l’onore di esibirmi al Teatro Antico, ma ne conosco la storia e sono giàmolto emozionato al solo pensiero di ritrovarmi in un posto cosìmagico, che per me rappresenta un piccolo ritorno a casa viste le comuni origini greche che condivido con la cavea taorminese. Con Enrico Castiglione, invece, ho giàavuto modo di collaborare proprio in un allestimento del Don Giovanni l’anno scorso a Pisa, e in quell’occasione ho capito di apprezzarne la profondità della visione e l’intelligenza delle soluzioni; è un regista che rispetta profondamente il testo e comprende come certi dettagli non possono essere sacrificati in favore di allestimenti ultramoderni».

 

In cosa consiste la vera forza del Don Giovanni di Mozart- Da Ponte, a sua volta mutuato dal capolavoro letterario di Tirso da Molina?

«Senza dubbio nei personaggi. Sono fortemente convinto che questi caratteri siano noti davvero a tutti perché trasmettono una gamma di emozioni che ciascuno di noi prova almeno una volta nella vita. Si tratta di ruoli che permettono di portare sulla scena non solo esperienze in cui lo spettatore rivede se stesso, ma anche e soprattutto i sogni che in molti nutrono. A differenza di tanti, però, Don Giovanni riesce a realizzare le sue fantasie, è un po’ come Silvio Berlusconi: tutti lo criticano per quello che fa, ma in realtà, visto che chiunque vorrebbe avere le sue possibilità, alla fin dei conti riesce sempre ad ottenere un buon successo elettorale. Più di 200 anni dopo, quindi, non molto è cambiato, e questo è uno dei motivi per cui il Don Giovanni è così amato, sia dai musicologi che dal pubblico: contiene un portato emotivo così arcaico che nessuno può sfuggire al suo fascino».

 

Dal punto di vista musicale quali sono, secondo lei, i passaggi più significativi?

«È difficile fare una scelta perché per Mozart era importante, e in particolare in quest’opera, dare a ciascun cantante un momento in cui risplendere. In altri suoi lavori il protagonista ha le musiche più belle, mentre in Don Giovanni non è così, il protagonista ha tre arie e neanche tanto lunghe, e in più la terza non è nemmeno così speciale. Quelle che sono importanti sono le situazioni d’insieme e non i momenti solistici. Il compositore ha deciso di attribuire le scene individuali piùforti a figure come Leporello o Donna Elvira, mentre il peso specifico del protagonista si puòavvertire nitidamente soprattutto quando condivide la scena con gli altri. La partitura è quindi molto equilibrata ed equamente suddivisa, proprio per questo gli interpreti devono essere bravissimi per sostenere il proprio ruolo, visto che non esistono personaggi minori o di contorno. Anche per questo, a mio avviso, è un’opera amata da tutti».

 

Quali segreti nasconde quest’uomo così affascinante e così affascinato dalle donne?

«Credo che abbia avuto una madre molto forte e che abbia vissuto molto poco con il padre. Crescere accanto ad una donna dominante ha fatto sviluppare in lui la certezza che l’unica vera forma di amore sia quella materna, un rapporto puro in cui è esclusa qualsiasi forma di carnalità. Proprio per questo motivo ritengo che Don Giovanni sia un uomo profondamente ferito, molto nobile, che ama le donne come ha amato la madre; quindi cerca una partner che gli resista sul piano sessuale. Riguardo alle signore, e sono tante, che cadono ai suoi piedi, nutre automaticamente odio e disprezzo, perché si distaccano dal sentimento che sua madre provava per lui. In più di un’occasione mi è capitato di provare compassione per lui, per quest’uomo che non riesce ad amare liberamente per via di un trauma vissuto durante l’infanzia e che ha condizionato l’intera sua esistenza. Anche per questo lo tratto sempre con molto rispetto, per me non esiste bianco o nero, c’è chi lo invidia e chi lo disprezza, io invece cerco di comprenderlo e non di giudicarlo. Alla fin fine, tutti noi possiamo essere sia angeli che diavoli. Quando vedo certi cantanti offrire di Don Giovanni un’interpretazione esclusivamente demoniaca, nutro molte riserve, perché in realtà il personaggio possiede una nobiltà davvero affascinante e una sensibilitàmolto spiccata».

 

Parliamo del controverso finale dell’opera: tra la versione di Praga e quella di Vienna quale preferisce?

«Il finale senza il sestetto moraleggiante, ossia la cosiddetta versione di Vienna, è emotivamente devastante. Mozart ha aggiunto questa ulteriore scena per distendere il pubblico e farlo uscire dal teatro con il cuore un po’ più leggero. Personalmente trovo più giusto che l’opera si concluda nel momento in cui Don Giovanni precipita all’Inferno, con una pagina musicale di rara bellezza e intensità. Si tratta però di una conclusione così brutale e tragica, che il geniale compositore ha fatto bene ad inserire in coda un breve momento in cui quella carica emotiva disturbante, ma secondo me necessaria, viene in qualche modo diluita, a discapito però della straordinaria drammaticità della discesa agli Inferi del “dissoluto punito” per le sue colpe».

 

Quale battuta, secondo lei, definisce meglio Don Giovanni?

«Quando nell’ultima scena afferma “Vivan le femmine, viva il buon vino! Sostegno e gloria d’umanità!”, credo che stia enunciando il suo credo più intimo. Anche se queste parole sono usate in un contesto improprio e con crudele ironia, anche se stridono con la drammaticità del momento, sono fermamente convinto che questa battuta riassuma in pieno la sua vita. Non bisogna dimenticare, infatti, che è l’ultima frase da lui pronunciata con feroce ma gioioso trasporto, prima della morte».

 

In che modo la musica segue lo sviluppo della narrazione?

«Mozart è un genio assoluto, soltanto lui è riuscito a nascondere sentimenti molto profondi all’interno delle melodie, nel senso che il vero ritratto dei personaggi risiede nelle note e non nelle parole. Solitamente i musicisti creano delle armonie che riflettono lo stato emotivo delle persone in scena, mentre Amadeus nel Don Giovanni ha creato due piani narrativi totalmente separati: mentre la voce esprime ciò che si vuole far sapere al prossimo, gli strumenti enunciano la vera natura dei vari attori. Si tratta di un approccio molto profondo e delicato,  che secondo me affascina di più: il pubblico non è mai certo di quale sia la verità».

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