I giudici del Tribunale del riesame di Messina (Genovese, Silipigni, e Smedile) hanno rigettato l’appello proposto dal difensore di Francantonio Genovese, Nino Favazzo, confermando la decisione emessa dai giudici del collegio giudicante, a seguito dell’istanza di scarcerazione o di attenuazione della misura in carcere, formulata l’indomani dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni in materia cautelare.
A seguito della decisione del TdL, l’avvocato Nino Favazzo ha dichiarato: «Francantonio Genovese, dunque, deve continuare a restare in cella, anche se, oggi ancor più di ieri, il mantenimento della custodia cautelare in carcere, avendo funzione meramente residuale, si giustifica solo in presenza di esigenze di natura, a dir poco eccezionali. Se all’applicazione del diritto – continua Favazzo – si sostituisce la logica del mantenimento dello stato attuale delle cose; se risulta più facile condividere precedenti decisioni senza motivare, con lo scrupolo necessario, circa le ragioni del rigetto; se si giunge a travisare il senso di un parere reso dalla pubblica accusa, quando si perde di vista la centralità della persona che la misura subisce, guardando, piuttosto, alle possibili conseguenze che una decisione ad essa favorevole potrebbe comportare; se si preferisce non adottare una decisione “fuori dal coro”, allineandosi alle precedenti, altrettanto errate; se si stravolge la finalità della misura cautelare, trasformandola in una vera e propria anticipazione di pena; se e quando tutto questo accade c’è da chiedersi se il fallimento è del difensore che, con ostinazione ma nel rispetto delle regole, continua a rivolgere motivate istanze, ovvero del sistema giudiziario che non è in grado di uscire da quella situazione di stallo cui, esso stesso, ha dato origine. Ricordo che, qualche mese addietro, un giudice che – appresi dopo – si accingeva ad adottare uno dei provvedimento di rigetto nei confronti di Francantonio Genovese, mi consigliava di essere meno passionale e coinvolto, in una parola, più distaccato. Feci presente che non avevo ancora perso in lucidità e tentai di spiegare al mio interlocutore – non credo di esserci riuscito . che il coinvolgimento e la passione dedicati al caso, contrariamente a quanto si poteva pensare, non erano motivati da più che legittime aspirazioni professionali, ma discendevano direttamente dal mio profondo senso di giustizia, che non ha mai tollerato e non tollera decisioni ingiuste, soprattutto quando si traducono in provvedimenti cautelar inutilmente afflittivi. Se è all’esito del processo che occorre stabilire se una pena deve essere applicata, prima della sentenza definitiva, la carcerazione detentiva deve essere maneggiata con estrema cautela, limitandosi con essa un diritto costituzionalmente garantito. Coerentemente, quindi, non ho raccolto quel garbato invito e mi ostino ancora oggi a sostenere le ragioni di Francantonio Genovese, al momento, ma non solo, in sede cautelare. Mentirei a me stesso se dicessi che resto insensibile di fronte al reiterarsi di quella che ritengo essere una ingiustificata e non più accettabile aggressione al diritto alla libertà di un uomo, inutilmente e senza ragione, ristretto in carcere. Ma per mia fortuna, ancora, continuo a non rassegnarmi e trovo stimolo e conforto al mio operare ricordando un noto e sempre attuale adagio: “Quando l’ingiustizia diventa legge la resistenza diventa dovere”».
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