“A Messina non funziona niente”. Quante volte abbiamo sentito dire, o abbiamo detto, questa frase. E in effetti, i fatti confermano quasi sempre questa osservazione. Eppure, al di là delle piaghe sociali e politiche di difficile soluzione che negli ultimi tempi stanno mettendo in ginocchio la città, ce n’è una, di vecchia data, che nessuno ha mai voluto risolvere veramente: quella dei parcheggiatori abusivi. Un fenomeno diffuso in molte zone della città, dalla stazione centrale al Policlinico. Ed è proprio al Policlinico che una ragazza, nostra lettrice, ha vissuto l’esperienza che ci racconta.
«Gentile Redazione, Vi scrivo per segnalarvi un episodio che magari sarà capitato tante altre volte, ma di cui penso sia giusto parlare proprio per cercare,con la mia testimonianza, di porre fine a una delle numerose vergogne di questa città.
Posso accettare, seppur con evidente difficoltà, il dolore di avere un padre martoriato da un tumore al fegato. Posso accettare, con altrettanta difficoltà, di avere a disposizione poche ore al giorno per andare a trovarlo in ospedale. Ma non posso accettare, proprio non ci riesco, di aver subito un danno alla mia automobile mentre ero con lui, solo perché le autorità non intervengono su un malcostume illegale e che conoscono bene. Come ho detto all’inizio di questa lettera, ho il dispiacere di avere un familiare ricoverato al Policlinico di Messina da circa un mese. E da circa un mese mi reco ogni giorno, in orario di visita, al padiglione che lo “ospita”. Finora la fortuna mi aveva assistita, se così si può dire in una situazione come la mia, ed ero riuscita a parcheggiare la nostra auto (in famiglia ne possediamo solo una) in zone limitrofe al Policlinico. Ieri, però, la fortuna mi ha abbandonata nuovamente, e un posticino libero per la mia Seicento proprio non c’era da nessuna parte. Decido, perciò, di entrare all’interno della struttura ospedaliera sperando di trovarne uno. Per inciso, è possibile transitare gratuitamente dentro il recinto ospedaliero per soli 5 minuti, sforati quelli bisogna pagare 90 centesimi solo per avere attraversato i viali del policlinico. Non trovo posto, nel frattempo si riduce l’orario di visita per vedere mio padre. Provo all’esterno del policlinico, ma prima pago 90 centesimi per fare alzare la sbarra che mi “imprigiona”: avevo superato i fatidici 5 minuti. Ancora due “giri” e, finalmente, vedo un parcheggio. Non è a pagamento, nessun cartello a indicare la tariffa oraria. Compio la manovra, scendo frettolosamente dalla mia auto per guadagnare minuti preziosi per vedere mio padre e, a un tratto, sento una voce alle mie spalle.
Un tale, malmesso, con uno stentato sorriso e un tono poco affine con quel sorriso, mi dice: “Signurina, per sua gentilezza, mi lassassi ddu spicci chi ci vaddu iò ‘a machina”. Innervosita dalla richiesta, assolutamente arbitraria, già stremata dall’aver perso circa 20 dei 60 minuti a disposizione per poter accedere al padiglione in cui è ricoverato mio padre, rispondo, cortese ma gelida, di non avere monete con me – ed era anche vero: le avevo appena spese per girare a vuoto lungo i viali del policlinico- e di lasciarmi parcheggiare in santa pace. Mi allontano. Riesco, per pochi minuti a vedere papà. Fino a quando gli infermieri mi invitano, più o meno gentilmente, a lasciare il reparto perché l’orario visite è finito e non si fanno eccezioni per nessuno. Torno, affranta, al parcheggio e lì trovo le ruote posteriori completamente a terra, con due chiodi conficcati nel copertone. Vedo anche la fiancata destra completamente rigata! Subito mi è venuto in mente il parcheggiatore abusivo e la sua richiesta, da me non ascoltata, di ricevere denaro per “guardare” la mia macchina. Ho immediatamente avvisato una guardia giurata dell’accaduto. Mi ha risposto, pure annoiata: “Signorina, non ci sono telecamere di sorveglianza in quel punto e noi non abbiamo visto nessun parcheggiatore abusivo. Ci dispiace”. Tralascio tutto quello che è seguito da quel momento in poi. Ma non tralascio di comunicarvi il mio sgomento, la mia rabbia e tutto lo schifo che provo per quello che mi è successo. Mi piacerebbe chiedere alle autorità come sia possibile che accada una cosa del genere, che si possa lasciar agire indisturbati questi delinquenti ogni giorno. E chiedo anche se, gentilmente, domani all’ospedale possono accompagnarmici loro, dal momento che mia madre non guida e che, anche volendo, la nostra auto in questo momento è senza due ruote.
Distinti e arrabbiati saluti».
Maria Adele De Leo
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