Foto auto dei Carabinieri

Operazione “Nebrodi”, 9 arresti per associazione mafiosa ed estorsione aggravata

Pubblicato il alle

5' min di lettura

Nove persone sono state fermate nell’ambito dell’operazione “Nebrodi”, condotta dal Ros di Catania e dal Comando provinciale di Messina, compagnia di Santo Stefano di Camastra , comandata dal maggiore Giuseppe D’Aveni.  I reati contestati sono associazione mafiosa ed estorsione aggravata dal metodo mafioso. Questi i nomi degli arrestati:

  • CALANNI Roberto, nato a Paternò (CT) il 14.09.1980;
  • CATANIA Salvatore, inteso Turi, nato a Bronte (CT) il 24.5.1962;
  • CORSARO Giuseppe, nato a Bronte (CT) il 31.01.1984;
  • GALATI GIORDANO Antonino, nato a Bronte (CT) il 4.09.1983;
  • GALATI GIORDANO Luigi, nato a Catania il 23.10.1985;
  • GERMANÀ Salvo, nato a Bronte (CT) il 04.05.1976;
  • LUPICA CRISTO Carmelo nato a Tortorici (ME) il 2.1.1955
  • PRUITI Giovanni, nato a Bronte (CT) l’1.1.1976;
  • TRISCARI GIACUCCO Carmelo nato a Cesarò (ME) il 6.10.1973.

L’indagine, prende spunto dall’attentato di cui è stato vittima, rimanendo per fortuna illeso, il presidente dell’Ente parco dei Nebrodi  Giuseppe Antoci. Agguato avvenuto il 18 maggio scorso a San Fratello.

Da qui gli investigatori, si sono concentrati sul risvolto economico connesso al possesso di terreni ed animali in quella zona. In particolare, Antoci aveva appurato che i terreni gestiti dal Parco erano stati affidati per lungo tempo ad aziende in odor di mafia, che riuscivano ad ottenere importanti contributi comunitari da parte dell’ A.G.E.A. e  a drenare importanti flussi finanziari destinati al settore agricolo.

Per questo motivo  il 18.03.2015, l’ente Parco, i comuni del comprensorio e altri enti pubblici avevano siglato il cosiddetto “Protocollo di legalità”, che tra i requisiti per la partecipazione ai bandi relativi all’affidamento dei terreni pubblici imponeva il possesso della certificazione antimafia. In questo modo, le aziende che non avevano i requisiti per ottenerlo, si orientavano verso terreni privati, organizzandosi per acquisirne il controllo e ricavarne cospicui guadagni. Questa situazione aveva riflessi anche su terreni ricadenti nei comuni di Bronte, Maniace e Randazzo.

 

Il primo filone dell’indagine, partito lo scorso giugno, è incentrato sulla figura di  Salvatore Catania, già elemento di spicco del clan che opera  nell’area  compresa tra i comuni di Bronte, Maletto, Maniace e Cesarò, e  legato a cosa nostra catanese facente di  SANTAPAOLA – ERCOLANO.

A ciò si aggiungeva il secondo filone di indagine,  che ha avuto inizio con un  atto intimidatorio commesso ai danni di un allevatore di Cesarò. Una prima analisi della situazione patrimoniale e delle attività economiche della vittima ha permesso di scoprire una più ampia attività estorsiva nei suoi confronti  e di altri due soggetti con cui aveva già formalizzato il preliminare d’acquisto di terreni del Parco dei Nebrodi, per i quali il prezzo finale  era stato concordato in 440mila euro e sui quali si poteva stimare un profitto di circa 50mila euro annui.

Protagonista dei reati, maturati in un sistema criminale di chiaro stampo mafioso,  era Giovanni Pruiti, che insieme a Carmelo Lupica Cristo, Carmelo Triscari Giacucco, Giuseppe Corsaro, Antonino Galati Giordano, Luigi Galati Giordano e Salvo Germanà, indiceva gli acquirenti dei terreni,  anche attraverso gravi aggressioni nei loro confronti, a recedere dalle trattative, nonostante fossero già state versate caparre per un totale di  circa 200mila euro.

Le indagini hanno poi portato alla luce il legame forte tra Pruiti, Salvatore Catania e Roberto Calanni, che rivestivano una posizione di assoluta egemonia su tutta quella zona dei Nebrodi.

Si è potuto appurare come riuscissero ad ostacolare con il metodo mafioso ogni libera iniziativa agricola-imprenditoriale e condizionare fortemente il libero mercato. Infatti, danneggiamenti, furti, uccisione di animali ed estorsioni sono divenuti erano all’ordine del giorno  per indurre i proprietari a riconoscere come unici interlocutori i mafiosi, che, volta per volta, sceglievano la strategia più opportuna: intavolare autonome trattative con i proprietari terrieri oppure inserirsi in quelle di terze persone, eventualmente già corso, inducendo le relative parti a recedere dagli accordi.

Gli arrestati dunque, provocavano anche con concrete intimidazioni, il fallimento delle trattative in corso e di fatto, ostacolavano l’iniziativa economica privata, coartando la volontà degli imprenditori ed alterando le logiche di mercato.

L’ultimo episodio intimidatorio nei confronti di uno degli acquirenti dei terreni, è stato poi particolarmente violento e si è verificato in pieno centro. In particolare la vittima è stata minacciata di morte se non si fosse allineata al disegno criminale.

 

(628)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error: Contenuto protetto.