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Operazione Campus: condanne più miti delle richieste. Salva l’Università

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Cade l’accusa di associazione a delinquere e l’aggravante mafiosa per i quattro maggiori imputati del processo scaturito dalla operazione Campus: Marcello Caratozzolo, Santo Galati Rando, Domenico Antonio Montagnese e Salvatore d’Arrigo. Nessun coinvolgimento per l’Università di Messina.

Lo scorso 14 aprile c’erano state le richieste, avanzate dal Pm Liliana Todaro. L’accusa aveva chiesto 4 anni e mezzo per Marcello Caratozzolo, docente di Statistica e Matematica alla facoltà di Economia; 4 anni per l’ex consigliere provinciale Santo Galati Rando, già titolare di alcuni istituti scolastici privati; 17 anni per Domenico Antonio Montagnese, di Fabrizia, provincia di Vibo Valentia,ritenuto collegato alle cosche della ‘ndrangheta ed organizzatore e promotore dei presunti illeciti.

Queste le condanne decise oggi dai giudici della seconda sezione del Tribunale: 10 anni e 6 mesi di reclusione per Domenico Antonio Montagnese; 2 anni e 8 mesi per Marcello Caratozzolo, cui rimangono solo due capi d’imputazione per millantato credito; 1 anno e 4 mesi per Santo Galati Rando, pena sospesa; 3 anni e 8 mesi per Salvatore D’arrigo; 1 anno, pena sospesa, per Alessandra Taglieri; 5 anni per Massimo Pannaci.
Decisa inoltre la interdizione perpetua dai pubblici uffici durante le pene inflitte per Galati Rando e Pannaci; per 5 anni per D’Arrigo.
I reati iniziali, a vario titolo, erano associazione per delinquere aggravata finalizzata alla corruzione, al millantato credito, voto di scambio e molti altri reati contro la pubblica amministrazione.

L’operazione Campus, scattata nel luglio 2013 ad opera della Dia, portò alla luce manipolazioni esterne nelle prove di ammissione alle facoltà a numero chiuso ( Medicina) e agli esami universitari. Anche infiltrazioni della ndrangheta.
L’accusa non ebbe dubbi: tirava le fila di tutto, Domenico Antonio Montagnese, il 50enne che dalla provincia di Vibo Valentia si era trasferito a Messina, e a Messina aveva trovato il suo “paradiso personale”. Come definire altrimenti la facilità di “far soldi” facili e illegali, che l’accusa attribuì a colui che fu definito “organizzatore e promotore del sodalizio”. L’operazione Campus, le indagini della Dia, svelarono il potere di un uomo, i suoi intrecci, le sue complicità eccellenti, i suoi diversi metodi di approccio con vittime e sodali. Uno, il più eccellente, secondo l’accusa, al tempo,  era Marcello Caratozzolo, il docente di Economia che il sostituto procuratore Liliana Todaro, titolare dell’inchiesta, ritenne complice interno al più grosso tra i canali di guadagno per il calabrese: l’Università di Messina. Per l’accusa era Caratozzolo a creare la rete di contatti utili al superamento dei test di ammissione a Medicina, di esami universitari o quelli per divenire dottore commercialista. Ma non solo il docente.  Anche amicizie nelle segreterie – sostenne l’accusa -facilitavano il “sistema Montagnese”.
La somma che lo studente con ansie da esame o, peggio, ignorante, sborsava, era buona per la spartizione tra le varie figure che allestivano la “commedia universitaria”: dai 25mila ai 50mila euro. Ma Montagnese spaziava nella babba Messina.
Dallo studente incompreso o “capra”, passava all’aspirante ufficiale di macchina cui una raccomandazione alla Capitaneria di porto di Palermo costava 2000 euro. A pensarci- scriveva il Pm- un grosso avvocato che vantava amicizie nel capoluogo.
O ancora toccava il campo dell’usura. Per l’accusa c’era lui dietro il forzato trasferimento di una coppia di orafi che avevano avuto l’infelice idea di rivolgersi a lui per un iniziale prestito di 7mila euro. Da
settemila divennero 50mila. Montagnese per avere quella somma – sostenne l’accusa – percorse tutta la gamma comportamentale del perfetto usuraio: dalla garbata richiesta passò ai solleciti imperiosi, sino a sfociare nelle minacce di morte: per la vittima, la moglie e la loro bambina di appena sei
anni.
Per l’accusa, dunque, il calabrese trapiantato a Messina aveva esteso il proprio potere su vari campi. La sua forza intimidatoria era il vantato collegamento con la cosca del suo paese. Ma l’altra forza, quella che aveva attecchito maggiormente, è stata la rete di eccellenti complicità.

Oggi, per tutti, la sentenza di primo grado. L’avvocato Bonni Candido, difensore del professore Caratozzolo, ha così commentato la decisione dei giudici in merito al suo assistito. ” Pur non condividendo la sentenza, che sarà certamente appellata, non posso non manifestare soddisfazione per il riconoscimento, da parte del tribunale, dell’insussistenza di una associazione per delinquere, per l’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 7, per l’assoluzione del mio assistito dall’ipotesi di reato di voto di scambio, ed infine per aver sancito la totale estraneita’ da qualsiasi coinvolgimento negli illeciti afferenti gli esami di abilitazione alla professione di commercialista.
La condanna riguarda solo due ipotesi di reato che non hanno nulla a che vedere con l’Università di Messina.
Attenderemo le motivazioni e siamo certi di una positiva soluzione in Appello”.

Patrizia Vita

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