“Non è un boss, torni libero”. La Corte d’Appello scarcera Saro Cattafi

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La Corte d’Appello di Messina ha disposto la scarcerazione di Saro Cattafi, in carcere al 41 bis dal 24 luglio del 2012, quando fu arrestato con l’accusa di essere il capo della mafia di Barcellona Pozzo di Gotto, anello di congiunzione con i clan di Catania e Palermo.

La decisione è stata assunta dagli stessi magistrati d’Appello che il 24 novembre del 2015 avevano riformato parzialmente la sentenza di primo grado che, sposando in toto l’impianto accusatorio della Procura, aveva inflitto all’avvocato di Barcellona la pena di 12 anni di reclusione (18 anni ridotti a 12 grazie ai benefici del rito abbreviato).

Il collegio presieduto da Francesco Tripodi ha, infatti, escluso che Cattafi sia mai stato ai vertici dell’organizzazione mafiosa e lo ha ritenuto un semplice affiliato ma solo sino al 2000, quando l’avvocato fu sottoposto per 5 anni a misure di prevenzione personale. Da quell’anno in poi, infatti, secondo la Corte d’appello non esiste alcuna prova che Cattafi abbia continuato a far parte del sodalizio criminale. Di conseguenza ha condannato Cattafi a 7 anni: pena non ancora definitiva ma ancora potenzialmente al vaglio della Cassazione.

Nella giornata di oggi, gli stessi giudici hanno revocato la misura cautelare del carcere, ordinando l’immediata scarcerazione di Cattafi.

I giudici hanno accolto la richiesta avanzata dall’avvocato Salvatore Silvestro il giorno successivo alla condanna.

Secondo i magistrati d’Appello non c’è alcun elemento che lasci pensare che Cattafi sia socialmente pericoloso, essendo le condotte per cui è stato condannato risalenti ad oltre tre lustri e non avendo l’imputato alcun’altra pendenza.

Gli stessi giudici hanno ancora sottolineato che non sussiste il pericolo che Cattafi si dia alla fuga, posto che tra l’altro gran parte della pena è stata espiata (tre anni e 4 mesi) e il condannato potrebbe godere del beneficio della liberazione anticipata.

Michele Schinella

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