Messina. Arrestato 70enne ritenuto responsabile dell’incendio all’Annunziata

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E’ un pensionato di 70 anni, L. C., l’uomo ritenuto responsabile dell’incendio che il 9 luglio dello scorso anno distrusse 550 ettari di vegetazione tra San Michele e l’Annunziata. I Carabinieri del Comando Provinciale di Messina lo hanno arrestato questa mattina, alle prime ore dell’alba, eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari emessa dal GIP del Tribunale di Messina.

Il provvedimento restrittivo scaturisce dalla complessa attività di indagine, convenzionalmente denominata “Efesto”, avviata il 9 luglio dello scorso anno dal Nucleo Investigativo del Comando Provinciale Carabinieri di Messina, a seguito del vasto incendio che si era sviluppato nella stessa mattinata nella zona compresa tra i torrenti S. Michele ed Annunziata di Messina.
Il rogo, infatti, reso indomabile dal forte vento e dalle alte temperature estive che avevano consentito la rapidissima propagazione delle fiamme, si era esteso a dismisura fino a raggiungere le zone di Portella Castanea, Monte Ciccia ed a lambire le abitazioni sul versante dell’Annunziata ed il plesso universitario Papardo.
Le operazioni di spegnimento, durate quasi due giorni, hanno richiesto il coordinato intervento di Carabinieri, Polizia di Stato, Protezione Civile, Corpo Forestale, Vigili del Fuoco, con l’ausilio di aerei Canadair e durante le stesse si era reso necessaria l’evacuazione del personale e degli animali presenti nel dipartimento di veterinaria della struttura universitaria.
Il forte vento, l’orografia del terreno e gli elettrodotti di alta tensione che attraversavano l’area avevano, però, impedito di contrastare efficacemente le fiamme che si erano, così, diramate su due fronti: uno nel costone di Monte Ciccia e l’altro nella zona di Portella Castanea,.
Solo al termine delle operazioni di spegnimento si è appreso che la superficie di terreno bruciata era pari a 550 ettari e che tutto il demanio dell’Annunziata era stato distrutto.

L’incendio ha provocato, danni di diversa intensità tenuto conto dell’orografia del terreno e della vegetazione presente, posto che si poteva notare che, a fronte di aree interessate dalle fiamme in modo quasi omogeneo, ve ne erano altre meno compromesse.
Tale insieme di circostanze ha provocato, già dopo pochi mesi dall’incendio, un cambiamento nella successione, nella struttura e nella composizione della nuova vegetazione, oltre che un’alterazione della struttura della superficie del terreno dalla quale è scaturita una diminuzione della capacità di trattenimento dell’acqua piovana con i rischi facilmente immaginabili per la popolazione.

Le indagini

Le indagini esperite dal personale del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Messina, consistite nell’escussione degli abitanti della zona, nell’esame delle immagini di alcune telecamere di video sorveglianza della zona, oltre che in preliminari ripetuti sopralluoghi sul posto, hanno consentito di accertare sin da subito la natura dolosa dell’incendio oltre che, con l’ausilio del personale del Corpo forestale Regionale, di individuare il punto d’innesco delle fiamme nella zona a monte del torrente San Michele, in località Pisciotto, su un cespuglio di rovi accanto alle pompe di sollevamento dell’acqua del Comune di Messina. Lo studio preliminare del percorso delle fiamme, confortato dalle risultanze delle sommarie informazioni e della disamina dei dati catastali hanno permesso, appunto, di comprendere che l’incendio aveva avuto origine all’interno di una proprietà privata ben individuata, in ciò confortati anche dalle immagini satellitari visionate dagli investigatori il che ha consentito di concentrare l’attenzione investigativa sul proprietario della stessa. Come accennato, lo studio accurato delle immagini di alcune telecamere di video sorveglianza, in sistema con l’esame dei tabulati di traffico telefonico delle celle di telefonia che servono la zona e del traffico prodotto dalle utenze in uso ai primi sospettati, ha consentito di restringere il campo di ricerca al solo odierno arrestato che, solo a quel punto, è stato oggetto anche di attività tecnica.
L’insieme di tali attività ha consentito di accertare come costui, il giorno precedente l’incendio, aveva effettuato dei lavori di scerbatura su dei roveti che infestavano i confini di un fondo di sua proprietà e che intorno alle 09.30 del 09.07.2017 aveva deciso di disfarsi del prodotto di risulta di tale operazione appiccando il fuoco. A causa delle condizioni meteorologiche sopra descritte il fuoco è sfuggito al suo controllo tanto che lo stesso, spaventato, ha accettato il rischio che l’incendio degenerasse allontanandosi dal terreno senza richiedere l’intervento dei soccorsi.

La qualificazione giuridica dei fatti

Il GIP presso il Tribunale di Messina, concordando in toto con le conclusioni cui era giunta la locale Procura della Repubblica, ha quindi ritenuto il 70enne responsabile dei reati di incendio boschivo aggravato in quanto il fuoco era suscettibile all’espansione su un’area boscosa, cespugliosa e arborata, oltre che su terreni coltivati e pascoli limitrofi a dette aree. L’attitudine del fuoco ad espandersi risulta comprovata dalla presenza del forte vento che ha influito in maniera significativa per dare forza all’incendio stesso ed ha reso difficile il compito del personale impegnato nelle operazioni di spegnimento. Il comportamento risulta, altresì, aggravato dal fatto che l’incendio era suscettibile di espandersi in aree abitate ovvero protette e perché ha cagionato un danno grave ed esteso. Il notevole dispendio di uomini e mezzi impiegati per le operazioni di spegnimento ed i delicati interventi di soccorso ad alcuni residenti intrappolati nelle abitazioni raggiunte dalle fiamme, dimostrano incontrovertibilmente le dimensioni dell’evento ed i danni cagionati. Inoltre l’incendio ha provocato danni diretti ed indiretti alla vegetazione, alcuni dei quali irreversibili ed altri che richiedono, comunque, un intervento particolarmente oneroso per il ripristino dell’ambiente, tanto che il costo dell’eliminazione delle alterazioni è stato stimato dai consulenti tecnici nominati dalla Procura in più di 3 milioni di euro, il che ha permesso di contestare all’indagato, per la prima volta in Sicilia, anche il reato di disastro ambientale pluriaggravato.
E’ stato possibile accertare, quindi, che l’indagato ha appiccato il fuoco alle sterpaglie del proprio fondo in circostanze di tempo, di luogo e di territorio tali da consentire agevolmente una previsione sulle conseguenze nefaste che sarebbero derivate, il che qualifica l’elemento psicologico sotto il profilo del dolo eventuale essendo pienamente consapevole del rischio, accettandone la conseguenza che dalla sua azione sarebbe derivata, ovvero l’elevatissimo rischio di diffusione delle fiamme. L’avere, peraltro, ritardato la richiesta dei soccorsi, rientrando a casa senza richiederne l’intervento, ha poi consentito l’aggravarsi delle conseguenze dell’azione posta in essere.

 

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