La memoria “tardiva” del pentito D’Amico: un fiume in piena che travolge Politica, Arma CC e Magistratura

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d'amico carmelo pentito“L’intenzione di ammazzare il giornalista Beppe Alfano perché aveva iniziato a mettere il naso nella Corda Fratres del giudice Franco Cassata; il ruolo dell’avvocato Peppuccio Santalco in seno all’organizzazione mafiosa del Longano; il contributo dell’avvocato Saro Cattafi nella morte dell’urologo Attilio Manca, “ucciso dai servizi segreti”.

Il collaboratore di giustizia Carmelo D’amico, boss di Barcellona e autore di efferati omicidi, non ne ha parlato nel verbale illustrativo della collaborazione; non ne ha parlato nei 180 giorni dall’inizio della collaborazione, come prevede la legge; non se n’è ricordato, incalzato dal pm e dagli avvocati di parte civile, nel corso dell’esame del processo d’appello a Saro Cattafi imputato di essere il capo della mafia di Barcellona, né nel corso del processo sulla presunta Trattativa tra lo Stato e la mafia.

Ma il 15 ottobre del 2015, a quasi due anni dall’inizio della collaborazione, ha messo nero su bianco nuove e clamorose dichiarazioni, raccontando fatti, tutti appresi da persone ormai decedute.

L’AVVOCATO PEPPUCCIO SANTALCO

“L’avvocato Peppuccio Santalco era un componente della mafia di Barcellona, assisteva nei processi il boss Pippo Iannello (ucciso a dicembre del 1993), faceva uso di cocaina insieme a noi e ha aggiustato dei processi per conto nostro”, ha dichiarato D’amico. “Aveva lo studio in viale Kennedy, all’epoca dei fatti aveva 40 anni ed era il figlio di Carmelo Santalco, ex senatore della Repubblica (deceduto, ndr)”, ha precisato. “Mio zio Cannata (boss della mafia deceduto da anni, ndr) mi disse che Santalco padre era arrivato in Parlamento grazie all’aiuto di tutta la mafia barcellonese

“Nello studio di Peppuccio Santalco facevamo uso di cocaina”, ha ancora sottolineato D’amico.

BEPPE ALFANO E LA CORDA FRATRES DEL GIUDICE CASSATA

“Ricordo che un giorno sentii Pippo Iannello dire preoccupato a Santalco che Pippo Gullotti voleva ammazzare il giornalista Beppe Alfano perché aveva iniziato ad indagare sulla Corda Fratres, l’associazione culturale guidata dal giudice Franco Cassata (ex procuratore generale della Corte d’appello di Messina, ndr). Fu l’avvocato Santalco a dire a Iannello di non preoccuparsi perché avrebbe parlato lui con Cassata in modo che quest’ultimo facesse desistere dal progetto Pippo Gullotti – ha detto il collaboratore -non ho raccontato prima queste cose perché avevo paura di Cassata che è un giudice molto potente”-  Ha precisato ancora .

Per l’omicidio di Beppe Alfano sono stati condannati, con sentenza passata in giudicato, Pippo Gullotti e Nino Merlino come esecutore materiale. Secondo l’impianto accusatorio l’omicidio è maturato perché Alfano si stava interessando di una grossa truffa immobiliare nell’ambito dell’Aias di Barcellona.

Carmelo D’amico – secondo quanto è già trapelato – ha dichiarato che Nino Merlino è estraneo all’omicidio del giornalista.

Il RUOLO DI CATTAFI, I SERVIZI SEGRETI E LA MORTE DI ATTILIO MANCA

“Nello studio dell’avvocato Carmelo Santalco sentii ancora Iannello dire che Gullotti e Saro Cattafi avevano il cervello malato perché avevano dato la loro disponibilità alle famiglie della mafia di Palermo e Catania a preparare l’attentato per uccidere l’ex ministro Claudio Martelli e il giudice Antonio di Pietro. Ho saputo di recente nel carcere dal boss Nino Rotolo che il mandante degli attentati (non eseguiti) era il leader del Psi, Bettino Craxi (deceduto da anni, ndr)” – ha riferito D’amico.

“Dopo la morte dell’urologo Attilio Manca, avvenuta a Viterbo nel 2004, incontrai a Barcellona Salvatore Rugolo (cognato del boss Pippo Gullotti) che ce l’aveva con Saro Cattafi. Mi disse che Cattafi per conto di Bernardo Provenzano aveva contattato il suo amico Attilio Manca in modo che questi l’operasse di prostata. A Cattafi – mi disse Rugolo – l’incarico glielo aveva dato un generale dei carabinieri. Di recente, Nino Rotolo, mi ha raccontato che sono stati i servizi segreti ad ammazzare Manca e che l’omicidio era stato organizzato dal direttore del Sisde”.

“Non ho riferito prima queste cose perché non me ne sono ricordato. Ogni giorno che passa mi ricordo cose nuove. La legge che regola la collaborazione e impone di dire tutto nei primi 180 giorni è sbagliata” – si è giustificato D’amico.

Salvatore Rugolo è morto da alcuni anni e non è stato mai processato né tantomeno condannato per fatti di mafia.

Secondo tutti i magistrati di Viterbo che si sono occupati della morte di Attilio Manca, l’urologo è morto per overdose. Secondo i magistrati di Palermo che hanno indagato sulla latitanza di Provenzano (e sui fiancheggiatori) Manca non ha mai operato Provenzano a Marsiglia.

IL D’AMICO PRECEDENTE

Il collaboratore era stato sentito nel processo d’Appello a carico di Saro Cattafi. Condannato in primo grado a 18 anni come capo della mafia di Barcellona, Cattafi in appello è stato riconosciuto un semplice affiliato e solo sino al 2000 e la pena gli è stata ridotta a 7 anni di reclusione .

Il 4 dicembre 2015 gli stessi giudici della Corte d’Appello ne hanno disposto la scarcerazione.

D’amico, sentito come testimone, aveva dichiarato di aver visto una sola volta Cattafi nel corso di un incontro avvenuto negli anni novanta tra associati in una masseria nel corso del quale aveva saputo che “era un amico” e di aver ricevuto l’ordine di ammazzarlo perché per alcuni giorni fu ritenuto colui che aveva fatto la spia e consentito nel maggio del 1993 alla polizia di arrestare il boss Nitto Santapaola.

D’AMICO A RUOTA LIBERA

Carmelo D’amico è stato sentito nell’aprile scorso come testimone nel processo Trattativa Stato-mafia, in corso di svolgimento al Tribunale di Palermo, che vede sul banco degli imputati, tra gli altri, il generale dei carabinieri Mario Mori, uomini delle istituzioni e boss della mafia.

D’amico ha riferito una serie di circostanze, a suo dire tutte apprese in carcere  dal boss Nino Rotolo (entrambi al 41 bis) con il quale “comunicava per gesti”, che avvalorano la tesi sostenuta dai pm secondo cui lo Stato dopo le stragi del 1993 arrivò ad un compromesso con la mafia per evitare nuove stragi . Questa tesi, però, sinora è stata smentita da alcune pronunce dei Tribunali che hanno avuto ad oggetto gli stessi fatti.

Michele Schinella

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