Guerra di mafia a Messina: inflitti 3 ergastoli per l’omicidio Marchese

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I giudici della Corte d’Assise di Messina hanno inflitto tre ergastoli al boss Marcello D’Arrigo, a Giovannino Vinci e a Rosario Vinci nel processo per l’omicidio di Stefano Marchese, il 27enne ucciso con quattro colpi di pistola, al rifornimento Esso dell’Annunziata, dove lavorava, il 18 febbraio del 2005.

A chiarire i retroscena di un efferato omicidio, quello di Stefano Marchese, avvenuto il 18 febbraio 2005, era stato lo stesso esecutore, Gaetano Barbera. Fu lui, quel pomeriggio di 10 anni fa, a scaricare 4 colpi di una pistola calibro 7,65 sulla schiena e 2 alla testa di Marchese. Sempre lui, prima di sparare l’ultimo proiettile, a sollevare la visiera del casco integrale che gli copriva il volto, per mostrarlo a chi uccideva e dirgli: “Così ti ricordi chi ti ha ammazzato”.

Stefano Marchese era il braccio destro di colui che un tempo era considerato il reggente del clan del rione Giostra, Giuseppe Minardi. Un emergente, Minardi, che voleva riorganizzare le fila della cosca già decapitata dei suoi boss con l’arresto di Puccio Gatto e del suo capo storico per eccellenza, Giuseppe Galli, per anni al 41 bis. Minardi – sostenne il capo della squadra Mobile, Giuseppe Anzalone – voleva espandere il suo territorio di competenza all’Annunziata, che aveva già la sua cosca criminale a gestirla, quella capeggiata dai Rosario e Giovannino Vinci, padre e figlio. Minardi, inoltre, dal suo progetto di riorganizzazione voleva escludere dal giro estorsioni un suo affiliato, Gaetano Barbera, che peraltro aspirava a “un posto al sole” nella gerarchia criminale della cosca. Ecco che- sempre nella ricostruzione degli inquirenti- l’escluso stabilì un patto con i capi degli altri clan cittadini: quello della zona Sud, capeggiato da Giacomo Spartà, e quello di Camaro, con a capo Carmelo Ventura. Per contrastare le mire espansionistiche di Minardi scatta dunque l’agguato del 18 febbraio 2005, quando due killer arrivano in moto al distributore Esso dell’Annunziata e massacrano di proiettili il braccio destro di Minardi, Stefano Marchese. Una morte che deve avere una matrice riconosciuta alle cosche e rappresentare un segnale. D’Arrigo, infatti, ordina che la moto, rubata, in sella alla quale erano giunti i sicari venga ritrovata nei pressi della casa di Puccio Gatto, il boss in carcere.

I Pubblici Ministeri Liliana Todaro e Maria Pellegrino avevano chiesto il carcere a vita per D’Arrigo e Giovannino e Rosario Vinci.

Ieri pomeriggio le condanne.

 

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