Truffa aggravata. Questa l’accusa a carico di un 44enne che senza scrupoli ha fatto credere per anni ad un’anziana coppia di ottantenni che il figlio, vittima della mafia negli anni ’90, fosse ancora vivo. L’uomo estorceva ai due genitori, quasi quotidianamente, del denaro per pagare fantomatiche cure. Oltre 200mila euro la cifra sottratta in oltre 10 anni.
A finire in carcere per truffa aggravata è Francesco Simone, anni 44 di Basicò, su richiesta della Procura della Repubblica di Barcellona Pozzo di Gotto guidata dal Procuratore Capo Emanuele Crescenti.
Una storia dall’apparenza inverosimile venuta alla luce solo grazie alla testimonianza della ex-compagna dell’uomo che ha raccontato la vicenda ai Carabinieri della Stazione di Montalbano Elicona.
Secondo quanto emerso dalle dichiarazioni della donna e poi dalle indagini dei Carabinieri, Francesco Simone intratteneva contatti, con cadenza giornaliera, con i genitori di Domenico Pelleriti, vittima della c.d. “lupara bianca” nei primi anni ’90, cui aveva fatto credere che il figlio risiedesse nell’Italia del nord, avesse bisogno di denaro per curarsi da una grave malattia e non potesse rientrare in Sicilia perché in fuga dalla mafia.
Per convincere gli anziani a consegnargli il denaro, il truffatore, li ingannava simulando al telefono di essere il figlio camuffando la voce e poi si recava personalmente a ritirare il denaro presso l’abitazione che i due poveri genitori anziani gli consegnavano puntualmente. In altri casi Francesco Simone chiedeva alla coppia di depositare le somme richieste presso una casa cantoniera nelle vicinanze.
Le indagini svolte dalla Stazione dei Carabinieri in sinergia con i militari della Compagnia Carabinieri di Barcellona P.G., eseguite sotto la direzione del sostituto Procuratore della Repubblica dott.ssa Rita Barbieri hanno fatto luce su questa vicenda, a prima vista paradossale ma, in realtà, drammatica e crudele che faceva leva sull’amore di una coppia di anziani genitori verso il figlio disperso da tempo.
Per comprendere la gravità della vicenda è necessaria una breve digressione sulla sorte di Domenico Pelleriti, ricostruita solo grazie a recenti rivelazioni.
Il figlio disperso ucciso dalla mafia
Domenico Pelleriti, nel luglio del 1993, è stato vittima della c.d. “lupara bianca”, per mano della mafia barcellonese. Il suo corpo, dopo ormai 25 anni, non è mai stato rinvenuto.
Su questo delitto ha fatto luce recentemente l’indagine denominata “Gotha VI” svolta dai Carabinieri del Comando Provinciale e della Sezione del ROS di Messina che ha svelato i contorni del delitto del giovane, anche attraverso le confessioni di alcuni degli autori del grave fatto di sangue che hanno intrapreso il percorso di collaborazione con la giustizia permettendo di risalire ai mandanti, agli esecutori ed al movente dell’omicidio.
Il giovane Pelleriti non apparteneva alla criminalità organizzata ma era coinvolto in un “giro” di ladri d’auto e, dalle rivelazioni, sembra fosse sospettato di avere compiuto dei furti contro un esercizio di vendita di ceramiche che pagava il “pizzo” all’associazione mafiosa.
I capi della “famiglia barcellonese” non avevano tollerato che la loro autorità venisse messa in discussione ed erano intervenuti decidendo di assassinarlo personalmente, unitamente ad un altro giovane sospettato di avere partecipato ai furti.
Domenico Pelleriti era stato così attirato, con una banale scusa, in campagna e torturato all’interno di una casolare con lo scopo di fargli confessare il furto. Il giovane, nonostante non avesse mai ammesso i fatti dei quali lo accusavano, era stato comunque trasportato in una fossa già scavata per lui e ucciso con due colpi di pistola alla testa.
Dalle confessioni sembrerebbe che il cadavere fosse stato seppellito in un agrumeto ma le ricerche svolte, a distanza ormai di anni dal delitto, non hanno consentito di recuperare il corpo, anche in considerazione del fatto che quel terreno era stato in gran parte disboscato e spianato attraverso pesanti escavatori che potrebbero avere disperso i poveri resti.
I dettagli dell’indagine e della truffa
Nel dramma della sparizione del figlio, vissuto dagli ormai anziani genitori della vittima si è inserito Francesco Simone il quale, per oltre un decennio, approfittando del dolore dei coniugi, ha messo in scena una teatrale tragedia, al fine di indurre la coppia al pagamento costante di somme di denaro, facendo loro credere che il loro figlio scomparso fosse invece vivo e malato, ricoverato in un imprecisato luogo di cura e che proprio da quei versamenti dipendesse la sua sopravvivenza.
Continue ed asfissianti le richieste di denaro avanzate dall’indagato, che ha fatto credere agli anziani coniugi, attraverso artifizi e raggiri ma anche con minacce e violenze psichiche nei loro confronti, che il figlio fosse realmente in pericolo di vita e che, solo grazie al denaro fornito dai familiari ed alla sua intercessione, lo stesso avrebbe ricevuto le cure salvavita.
Francesco Simone ha di fatto annullato psicologicamente la coppia, facendola vivere, con una cattiveria inusitata, un clima di paura, intimidazione e sofferenza, approfittando dei sentimenti dei due anziani genitori.
La coppia vive della propria pensione di braccianti agricoli ma, come probabilmente avrebbe fatto qualsiasi genitore, ha dato fondo ad ogni risorsa per garantire la – presunta – salvezza del figlio, purtroppo deceduto. I due anziani genitori per soddisfare le ingenti richieste di denaro non solo attingevano alla risibile pensione ma erano giunti a vendere un immobile ed alcuni terreni di proprietà, contrarre debiti e chiedere l’aiuto di una zia 86enne, sorella della madre, anch’essa pensionata. I malcapitati, nella spasmodica ricerca di denaro per soddisfare le pretese del truffatore sono arrivati addirittura a considerare l’idea di rubare i risparmi della nipote, figlia dello scomparso. Da una prima stima la cifra sottratta alla coppia ammonterebbe a oltre 200mila euro.
Nell’arco di soli 15 giorni le investigazioni hanno permesso di riscontrare quanto denunciato ed hanno documentato ben 11 consegne di denaro all’indagato, dell’ordine di 50 o 100 euro ciascuna.
Le consegne di denaro sono avvenute per la maggior parte dei casi davanti l’abitazione dei coniugi, dove Francesco Simone, transitando a bordo della sua autovettura, li recuperava direttamente abbassando il finestrino dell’auto. In altre occasioni, invece, l’indagato, nel timore di essere seguito dalle Forze di Polizia, faceva nascondere ai coniugi il denaro all’interno di una cassetta postale della casa cantoniera nei pressi di un’abitazione a lui in uso.
Fortunatamente le indagini dei Carabinieri ed il provvedimento cautelare dell’Autorità giudiziaria ha messo fine ad questo bieco caso di truffa in cui l’indagato si è per anni “cibato” della tragedia incommensurabile della famiglia Pelleriti cui la Procura della Repubblica di Barcellona P.G. ha voluto offrire ausilio e sostegno psicologico attraverso la nomina di un consulente tecnico.
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