L’Università degli Studi di Messina è risultata ultima nella classifica del Censis sui grandi atenei italiani per l’a.a. 2020/2021, collezionando punteggi bassi in più frangenti. Oggi, mercoledì 15 luglio, a commentare la graduatoria è il Rettore Salvatore Cuzzocrea che, in occasione della visita guidata all’ex filiale della Banca d’Italia recentemente acquisita da UniMe, ha voluto fare alcune precisazioni.
La notizia è di qualche giorno fa. Sulle 17 università prese in considerazione dal rapporto annuale del Censis, quella di Messina è arrivata ultima. Il report tiene in considerazione diversi fattori, vale a dire: borse di studio, capacità di comunicazione e servizi digitali, livello di internazionalizzazione, servizi, strutture a disposizione e occupabilità.
«Dai dati forniti – ha commentato il prof. Cuzzocrea – risulta che l’Università di Messina abbia avuto un calo in relazione agli indicatori di strutture e borse. Riguardo alle strutture, mi preme sottolineare però che, nel rispetto degli impegni presi con il corpo elettorale e le famiglie dei nostri studenti, abbiamo scelto di rendere noti solo i posti e gli immobili effettivamente disponibili per l’utilizzo, escludendo quelli attualmente in ristrutturazione. Sin dal nostro insediamento abbiamo posto l’accento sulla necessità di ammodernare alcune aule, laboratori e plessi nei vari Poli».
«Sulle borse – ha proseguito – vorrei sottolineare che il dato è inficiato dalla diminuzione delle borse di diritto allo studio erogate da parte dell’ERSU. Il rapporto Censis non contempla, però, che UniMe ha alzato la No Tax Area sino a 23 mila euro, concedendo, perciò, agli studenti idonei ma non beneficiari di borsa, di essere esonerati dalle tasse».
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Altrimenti anche le fasce più deboli economicamente sarebbero andati via, e restando solo perché gratis.
In questa città restano a studiare o coloro che non possono andare via o coloro che del pezzo di carta non se ne fanno niente perché non hanno bisogno di lavorare.
Sono le conseguenze dei cognomi dei nostri professori che si succedono di padre in figlio.
Prima o poi il sistema doveva implodere, mi dispiace solo che i nostri figli debbano migrare per avere un titolo di studio che possa servire qualcosa.
Purtroppo questo è il risultato di un lavoro meritocratico che qui da noi è diventato impiego statale.
ma anche di fronte a risultati evidenti avete il coraggio di difendere l indifendibile?? serve una rivoluzione totale, manager esterni, via i “baroni”.