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Le ferie fanno bene a chi non le ha

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fondamentalmente messinaChi ha elaborato il concetto di ferie come riposo e divertimento, non viveva sicuramente a Messina. Lo stress provocato da queste settimane è pari infatti a quello dei restanti undici mesi lavorativi. Siamo sopravvissuti a Ferragosto, e non è poco, dato che ancora oggi viviamo strascichi digestivi del giorno dell’Assunta. Siamo usciti indenni anche dagli intasamenti notturni causa Fiera, dal contro esodo, dalla delusione dei fuochi d’artificio, dal palinsesto estivo di canale cinque. Restano gli ultimi scampoli di estate, non in senso meteorologico, ché quella come ogni anno, durerà fin quando non tireremo fuori il presepe dal ripostiglio. Rimangono i giorni della desolazione: il tabaccaio, il parrucchiere, il macellaio, il panettiere vanno in ferie, lasciandoci senza un punto di riferimento, disorientati e confusi.
Il centro è semideserto, i negozi quasi tutti chiusi, gli uffici con un unico impiegato estratto a sorte col legnetto più corto. Traffico, code, inquinamento acustico ci sono ancora, si sono solo trasferiti sulla litoranea, dove al posto di negozi, uffici e scuole, troneggiano lidi e locali. Cambiano le mete, ma le imprecazioni nel traffico sono le stesse. Non è tutto. Pensiamo alla giornata tipo del messinese tipo, che desidera raggiungere un lido tipo. In auto la temperatura è di 55 gradi e resta tale fino a che l’aria condizionata decide di carburare, fatto che avviene inevitabilmente quando si è quasi giunti a destinazione. La ricerca del parcheggio è un altro scoglio: trovarne uno in prossimità degli stabilimenti balneari è probabile come trovare il verde al semaforo della Via XXIV Maggio. Dopo quattro giri, due sciarre con i ciclisti psicopatici, tre forti insulti a tutti i possessori di Smart, un tentativo di infilare l’auto nello spazio per un motorino, tocca percorrere i chilometri che separano il parcheggio dal lido, con la borsa del mare del peso una tonnellata: 15 flaconi di solari perché ogni parte del nostro corpo richiede un fattore di protezione diverso, tovaglia, libri che neanche si tireranno fuori, bottiglie per idratarsi. Se si è in possesso di figli poi, il peso aumenta esponenzialmente: succhi, merende, maschera, boccaglio, occhialini, pinne, bombola d’ossigeno.
Dopo aver pagato lettino e ombrellone a peso d’oro, tocca deciderne rapidamente la collocazione. Dovremmo essere sollevati da qualsiasi dubbio e decisione in ferie, eppure, quando il bagnino pone la fatidica domanda, “dove”? , è necessario fare una scelta. Vicino al mare? Alla doccia? Al bagno? Al bar? Alla piscina? Non è finita. Bisogna scegliere la direzione della sdraio prima che il ragazzo in magliettina rossa sparisca e ci lasci soli a spostarcela, trascinando l’ombrellone e ciabattine di quello accanto. Se l’obiettivo è avere un discreto colore della pelle che testimoni la nostra vacanza, il lettino dovrà collocarsi secondo la giusta angolazione dei raggi del sole. La posizione esatta sarà la stessa del “riunito” del dentista all’estrazione di un ottavo superiore, con la testa pericolosamente in basso e le gambe in alto. Alzarsi per fare il bagno diventa davvero difficile. Quasi tutti i lidi hanno delle piscine, poco più grandi della vasca di casa, contenenti una ventina di bambini, in cui l’acqua, del colore delle sabbie mobili, risulterebbe positiva anche all’ebola. Ma per fortuna abbiamo il mare più bello del mondo e basta immergere gli arti inferiori per fare la fine di Leonardo di Caprio in Titanic.
A questo punto le cose cambiano a seconda che ci si trovi in un lido per famiglie – popolato da ragazzini gocciolanti che schizzano acqua, tirano sabbia, fanno domande imbarazzanti e chiedono cibo ai vicini di ombrellone – e quei lidi molto di tendenza, in cui di bambini non c’è neanche l’ombra e in cui, invece di rilassarsi, ci si diverte. Anche la teoria del divertimento vacanziero è molto discutibile, dato che a Messina il concetto è strettamente collegato col binomio bere & ballare. Per una che come massima esperienza di alcolismo ha un cioccolatino al liquore la notte di Natale o lo sciroppo sedativo della tosse, ben si comprende quanto sia difficile divertirsi. In realtà la logica del binomio è facilmente intuibile: solo da ubriachi è possibile ballare in costume, in pieno giorno, senza pensare agli inevitabili movimenti indipendenti e separatisti di certe parti del corpo. Donne e uomini, sia chiaro. Over quaranta (sostengono, ma in realtà sono over cinquanta), tutti a bere poco igienicamente da un secchio gigante con le cannucce, ad agitare birre e terga non più sode, con la musica ai limiti della sopportazione umana. La soluzione a questo punto è abbandonare i propositi di relax e di calma interiore e attendere che tutto ritorni alla normalità. E, soprattutto, che tabaccaio e panettiere smettano di ballare sotto il sole a picco e tornino a fare il loro lavoro.

Giusy Pitrone

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