Una delle cose più belle che succede a Messina, durante il periodo natalizio, è il ritorno a casa dei fuori sede. Ed è proprio a Natale che Messina viene di nuovo (e finalmente) invasa da amici e parenti, che per motivi di lavoro o di studio, si sono trasferiti altrove. Anche per il Natale 2021 quindi vi raccontiamo alcune storie di fuori sede che hanno lasciato Messina e che – non sempre – tornano a casa per le feste.
Sono cinque le storie che vi raccontiamo. I nostri fuori sede, originari di Messina, abitano in ordine sparso a: Firenze, Londra, Bruxelles, Barcellona e Roma. Abbiamo fatto a tutti le stesse domande, da quanto tempo vivono fuori, perché hanno deciso di trasferirsi e qual è la prima cosa che faranno una volta tornati a Messina per Natale. Non tutti torneranno a casa, a molti manca la famiglia e il cibo, ad altri «i paesaggi di una bellezza disarmante». A nessuno manca la scarsa ambizione della città e dei suoi abitanti e l’individualismo esasperato. Sarebbe difficile biasimarli.
I Fuori Sede: da Messina all’altrove
Abbiamo pensato di raccontarvi queste storie fuori città perché solo con un occhio esterno abbiamo davvero la possibilità di capire la misura delle cose e provare a cambiare. A dimostrare che anche Messina può essere una città organizzata, stimolante e intraprendente. Vogliamo leggerla così, perché è difficile partire, ma – secondo noi – è più difficile rimanere qui.
Sara Cucè, alla ricerca del posto nel mondo
La prima storia è quella di Sara Cucè, che da quasi dieci anni vive a Londra. Sara a Londra lavora e studia per trovare il suo posto nel mondo. Di lei possiamo anche dirvi che a Messina – a settembre 2020 – ha presentato un progetto fotografico proprio sull’abitare. «Mi occupo di stampa artistica, – ci racconta Sara – lavoro come manager di fine-art per un’azienda che stampa per artisti e musei. E nel frattempo frequento un master di studi curatoriali e il prossimo anno saranno dieci anni che vivo a Londra.
Ho sempre creduto che avrei avuto più possibilità lavorativa altrove, anche perché ho sempre voluto intraprendere una carriera artistica, e per gli artisti o per chiunque lavori in ambito museale è sicuramente difficile inserirsi quindi sono sempre stata convinta che avrei trovato il mondo nel posto qui. Non posso dire di averlo trovato ma posso dire che ho iniziato un percorso. Mi sono trasferita per studiare fotografia a Londra e sto ancora studiando per trovare il mio posto, la mia carriera in questo paese.
Di Messina mi manca moltissimo la mia famiglia, l’aria di mare, i paesaggi, i cibi tipici buonissimi – che mi mancano sempre. Mi manca la quiete, il tempo che ti aiuta riflettere e a rigenerarti. Non mi manca la disorganizzazione, il fatto che non si possa fare affidamento sui mezzi pubblici e non mi manca l’aria di staticità. Non mi manca che non ci sono opportunità e che chi non trova lavora o è infelice di quello che fa e non può andarsene non ha la possibilità di cambiare. Passerò il Natale a Messina e sono molto felice perché non torno da diverse feste natalizie. Quindi non vedo l’ora di tornare a casa. La prima cosa che farò sarà andare in spiaggia a fare una lunga passeggiata».
Giuseppe Famà, fuori sede da sempre
Un altro fuori sede che tornerà a Messina per Natale è Giuseppe Famà, lui è andato via subito dopo il diploma e adesso vive e lavora a Bruxelles. «Sono tornato nuovamente a Bruxelles da quasi quattro anni per venire a coordinare il settore Unione europea dell’International Crisis Group, la ONG per cui lavoro, che si occupa di prevenzione dei conflitti e gestione delle crisi internazionali. E, non meno importante, per ricongiungermi alla mia compagna. Dico “tornato” perché ho vissuto a Bruxelles altre due volte – la prima, poco dopo la laurea per un periodo di formazione e stage, e la seconda per lavorare alla Presidenza Italiana del Consiglio UE. Ci ho passato in tutto sette anni e in mezzo ho trascorso quattro anni tra le delegazioni e le missioni UE in Mali (Africa occidentale) e tra la Tunisia e la Libia. E prima ancora una breve esperienza in Bulgaria». Giuseppe è andato via da Messina per due motivi diversi.
«Il primo, quindici anni fa, quando presi un espresso notte sola andata per iniziare gli studi universitari a Forlì, probabilmente con un trascorso e un destino simile a molti altri ragazzi nel mio vagone. Avevo deciso di lasciare Messina – tra le tantissime ragioni – perché avevo conosciuto molte storie di messinesi delusi dall’impostazione, dalla scarsità di stimoli e soprattutto dalla discrezionalità delle facoltà che avevano scelto. Questo soprattutto per gli studi in legge, il percorso che immaginavo prima di incaponirmi sugli studi politici internazionali. Per fortuna, l’Università di Bologna aveva un sistema di diritto allo studio eccelso che mi ha permesso di fare i bagagli senza aggiungere un altro sacrificio alla mia famiglia. Sicuramente sono partito anche per quella voglia di scoperta, emancipazione e riscatto che conoscono tutti i ragazzi e le ragazze cresciuti in una periferia di una città alla periferia d’Italia.
La seconda volta è stato più facile. In Emilia-Romagna ho trovato un ambiente che mi ha permesso di crescere molto, con interessi che coltivo da allora e nuovi affetti che sono oggi tra i più cari – la mia compagna l’ho conosciuta tra i banchi all’università. Però, una volta lontani da casa, è naturale chiedersi quanto senso abbia fermarsi anziché spingersi più in là per inseguire i propri progetti, mettersi alla prova e seguire alcune ambizioni. È quello che mi ha portato a muovermi di frequente per i dieci anni successivi alla laurea».
E da fuori sede cosa ti manca di Messina? «Partiamo dai fondamentali che accomunano tutti noi emigrati: la famiglia e gli affetti, il mare e la vista dello stretto, la cucina del territorio e quella di casa. Non c’è minuto che non mi manchi almeno una di queste cose. C’è però una dimensione ulteriore, di cose intangibili, che producono la vera nostalgia dell’emigrato. È la dimensione degli sguardi e delle intese, del linguaggio e delle radici profonde, che ti fa comunicare all’istante e d’istinto con le persone che sono nate, cresciute e che hanno avuto le prime gioie e sofferenze a Messina. Parlare con un/a messinese porta sempre a una forma di intesa che trovo difficilmente, a meno che non sia una persona con cui condivido un altro pezzo di storia o delle prospettive comuni. A Messina, invece, mi basta ‘na vaddata. E il piacere di un giorno sullo Stretto senza scirocco.
Non mi mancano la rassegnazione, la rinuncia a sviluppare una visione completa per il territorio, la scarsa ambizione, anche di chi avrebbe le capacità e le risorse per aiutare Messina a invertire la rotta. Non mi mancano lo scarso senso di comunità, la diffidenza ostinata, l’assenza di un’identità cittadina, forse affossata dai tempi del terremoto. Non mi manca l’individualismo esasperato di chi si spende solo fino al salotto di casa – un’abitudine assai diffusa. Non mi mancano l’incuria e la sporcizia. Non mi manca dover prendere l’auto per fare davvero qualsiasi cosa.
Passerò il Natale a casa e sto facendo acrobazie per avere giorni in più da spendere con mia madre e i tantissimi affetti che sono – o che tornano anche loro – a Messina. Tranne una lunghissima avventura in macchina l’anno scorso a causa della pandemia, purtroppo sono vincolato a dover volare. E, di solito, a chiedermi come si possa mai arrivare a casa mia da qualunque aeroporto: ho avuto molte meno difficoltà a tornare da Bamako all’aeroporto di Catania di quante non ne abbia avute per arrivare all’Annunziata dal centro con i mezzi pubblici. Posto che ce la faccia, abbraccerò mia madre, andrò sulla litoranea nord e chiamerò gli amici di una vita per approfittare di tutto il resto in loro compagnia. Tranne le braciole di spada – per quelle non riuscirò ad aspettare».
Emilia Celona, a volte di Messina non le manca niente
Quasi quattordici anni fa, Emilia Celona è diventata una fuori sede: nel 2007, infatti, da Messina si è trasferita in Spagna. «Mi trovo a Barcellona da quasi quattordici anni, precisamente dal 26 dicembre del 2007. Sono una libera professionista nel settore della musica e porto avanti differenti progetti contemporaneamente. Sono laureata in musicologia alla UAB (Universidad Autónoma de Barcelona) Sono DJ da più di dieci anni e, recentemente, ho cominciato a produrre musica per differenti progetti audiovisuali con il nome di Omvra; rappresento l’artista argentino Esteros Live Project in qualità di manager e da quasi un anno ho fondato e dirigo KemiCult, un’agenzia con cui organizzo eventi culturali con cuffie inalambriche (da sessioni d’ascolto a eventi di lanciamento per artisti). Diciamo che non mi annoio. Ho deciso di trasferirmi perché non sentivo di potermi esprimere come avrei voluto, perché sentivo di non essere la migliore versione di me stessa e che i miei interessi non erano “saziati”.
A volte di Messina non mi manca niente e altre volte molte cose. Sono una persona di contrasti anche se sento che mai nulla è definitivo. Sicuramente la mia famiglia, i pochi parenti e amici che sono rimasti a Messina mi mancano molto però grazie alla tecnologia mi mancano un poco meno. In generale mi mancano i paesaggi siciliani che sono di una bellezza disarmante, peccato per la gestione dei rifiuti e l’inciviltà di alcune persone. Non ho in programma di passare il Natale a Messina, i biglietti d’aereo sono carissimi e non amo le feste natalizie (si…sono il Grinch)».
Filippo Nicosia, per diventare grande devi andare via di casa
La penultima storia, dedicata ai fuori sede che sono nati a Messina e sono andati via, è quella di Filippo Nicosia, scrittore di romanzi e autore di programmi televisivi. Filippo vive a Firenze dal 2015. «Ho lasciato Messina due volte: la prima a 18 anni, per il semplice motivo che per diventare grande, secondo me, devi andare via di casa e vedere che c’è là fuori; la seconda volta intorno ai 30 anni, ed è stato dolorosissimo perché avevo aperto la libreria Colapesce insieme a mio fratello. In quest’ultima occasione la decisione è stata molto sofferta ma ho pensato che fosse meglio emigrare sia per motivi personali, che per via di una brutta esperienza di sanità pubblica».
E da fuori sede cosa ti manca di Messina? «Con la facilità degli spostamenti, dei mezzi di comunicazione, la proliferazione di immagini e di interazioni virtuali la mancanza è una sensazione difficilissima da provare. Non riesco quasi più ad esercitare il ricordo spontaneo perché Facebook mi ricorda qualcosa tutti i giorni, mostrandomi un’immagine dello Stretto, di me a Messina, di Colapesce di anni fa. Forse è per questo che di Messina mi manca la giovinezza, l’epoca di cui non ho immagini ma solo ricordi. Della mia città mi manca quello che non tornerà, quello che non sono stato, quello che non potrò più essere. E tutto questo per me si riduce a una parola: estate. Messina per me è l’estate assoluta, mitica, irripetibile, un’estate di cui sento una mancanza bestiale e questa mancanza alimenta la scrittura, i pensieri e tutto quello che provo a fare ed essere. Per Natale resterò a Firenze».
Cecilia Moraci, sentirsi come pesci fuor d’acqua
Infine, tra i fuori sede cresciuti a Messina, c’è Cecilia Moraci. Cecilia ha vissuto tra Bologna, Mosca, Pescara e San Pietroburgo, ma non in quest’ordine. «Anche se sono 10 anni che vivo a Roma, i miei periodi da fuorisede si sono alternati anche tra la Russia, dove ho vissuto per un paio di semestri a Mosca e San Pietroburgo tra il 2013 e il 2016, un periodo di studio a Bologna e poi di lavoro a Pescara.
Nel 2020 sono ritornata su Roma poco prima della pandemia, e nonostante lunghe peripezie lavorative prima nel campo del marketing e poi nel turismo, da un anno e mezzo faccio la traduttrice a tempo pieno, ho appena aperto partita e iva e collaboro con diverse realtà». Cecilia ha sempre pensato di andare via da Messina. «In realtà penso che sia stata un’idea che già avevo a nemmeno metà delle superiori. Da adolescente mi sentivo un po’ un pesce fuor d’acqua per molti interessi che avevo e che purtroppo non trovavano una valvola di sfogo su Messina.
Quando andavamo con la mia famiglia a Roma a trovare i miei zii e i miei cugini era bello sapere che potevo avere molte più cose a portata di mano in ambito culturale e artistico. Tra il 2009 e il 2011 ho conosciuto alcune persone russofone che vivevano a Messina e mi parlavano spesso della lingua russa, e mi ero appassionata all’idea di studiare russo. E dopo un’esperienza di lavoro-studio a Londra nel 2010, oramai avevo deciso che avrei fatto lingue. La mia volontà di andare fuori si è concretizzata perché volevo studiare traduzione nello specifico, e all’università di Messina all’epoca non c’erano i corsi di mediazione per la lingua russa e non mi piaceva l’idea di studiare altre lingue romanze»
Cosa ti manca e cosa non ti manca di Messina? «Direi che la cosa che più mi manca è il concetto di casa che è legato a Messina e ovviamente a mia madre, mio fratello e agli amici che sono in città. C’è una sicurezza che non riesco a trovare altrove nel fatto che quando torno a Messina so che c’è sempre casa mia e non ho bisogno di correre. Mi manca soprattutto quella sensazione di calore che si può provare solo quando sei a casa circondato dalle persone della tua famiglia.
Ammetto che quando torno per le vacanze potrei passare anche una giornata intera a casa senza mai uscire, solo per il gusto di stare sul divano o fare qualcosa con mia madre e mio fratello. A volte, mi manca il fatto che nonostante tutto, Messina sia una città a dimensione d’uomo (che però non viene sfruttata per questa sua qualità). Diciamo che non mi manca la realtà generale della città, il fatto che la routine cada facilmente nella monotonia. Quando sono a Messina, mi mancano molto le opportunità quotidiane che mi dà Roma. Sembrerà assurdo, ma di Messina non mi manca per nulla l’obbligo di dover guidare per un qualsiasi spostamento per i purtroppo carenti mezzi pubblici. Soprattutto, non ci sono occasioni o luoghi verdi che non siano i colli dove poter fare una passeggiata o dire “Esco un po’ a piedi e torno” per me che abito in zona Sud: o esco con la macchina o esco con la macchina. Non mi mancano nemmeno le retoriche da “Qui non c’è niente, non ci manca niente” legate a “Abbiamo il mare e le granite, si sta bene” purtroppo senza notare le gravi carenze della città, che a me personalmente fanno male.
Passerei il Natale qui? Se sì, che mezzo di trasporto userai e qual è la prima cosa che farai? « Sì, scenderò una decina di giorni prima di Natale in treno da Roma, e risalirò in treno qualche giorno prima di Capodanno. In modo molto banale penso che la prima cosa che farò sarà godermi casa, famiglia e gatti (componente importantissima e che rientra negli elementi che mi mancano molto qui a Roma), penso poi che approfitterò per vedere un po’ di amici che riesco a vedere solo durante le vacanze». (La foto di copertina di Cecilia è di Alessandro Chiariotti).
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