«Il progetto è completato, le aree dell’ex Birra Messina sono edificabili e non ci sarà traccia di alcun piano industriale per il riavviamento della produzione con la delocalizzazione dell’impianto». Quetse le parole di Calogero Cipriano, segretario generale della Fai Cisl, sull’esito della vicenda Triscele. «Avremmo voluto sbagliare – afferma il segretario della Fai –, avremmo voluto che le nostre grida d’allarme, spesso strumentalizzate, fossero risultate false. Invece oggi è lampante come la famiglia Faranda non abbia comprato una fabbrica, ma un terreno e questi sono i risultati. Giovedì ci hanno detto che la monetizzazione del terreno non basterà, perché è necessario coprire altri debiti e quindi non vi è alcuna intenzione o possibilità di delocalizzare e ripartire. Così è stata tradita la fiducia dei lavoratori e della città, che avevano investito in una soluzione imprenditoriale messinese. I lavoratori, adesso, rischiano di essere beffati due volte. Da gennaio saranno messi in mobilità e si domandano che fine farà il loro Tfr, quello di Heineken Italia, che i lavoratori hanno lasciato alla famiglia Faranda al momento dell’acquisizione per l’operazione di acquisto della fabbrica. Anzi, del terreno». Parole dal sapore amaro quelle di Cipriano che è stato partecipe nella “giornata di disperazione” dei lavoratori della Triscele. E del gesto di Domenico, il dipendente che si è incatenato con una bottiglia contenente liquido infiammabile minacciando il suicidio, dice: «Mimmo – racconta – che è anche un attivista sindacale ha sentito ancora di più sulle sue spalle questo peso. Noi soffriamo con lui e lotteremo accanto a lui e agli altri 40 dipendenti affinché non vengano nuovamente presi in giro».
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