Un tuffo nella storia e nell’arte, ma dietro le quinte, dentro una cornice narrativa accattivante e coinvolgente. È l’ultimo libro della scrittrice di origine siciliana, Silvana La Spina, ambientato nella Messina del XV secolo.
“L’uomo che veniva da Messina” è la storia romanzata di Antonello, il celebre pittore della città dello Stretto che diede lustro alla pittura italiana e con le sue innovazioni fece scuola in tutto il mondo, ma fu poco compreso nell’Isola. Uno spaccato di vita del tempo e una ricostruzione, mista di storia e fantasia, dell’ispirazione artistica del grande Antonello, con sorprese che affascinano il lettore.
Il volume, edito da Giunti, sarà presentato il 28 novembre alle 11, al teatro Vittorio Emanuele, nel corso di un incontro organizzato dalla Libreria Bonanzinga, con l’Assemblea regionale siciliana, l’Ente Teatro e gli Istituti scolastici comprensivi Villa Lina-Ritiro e La Farina-Basile.
L’ evento, aperto a tutta la città, con particolare coinvolgimento degli alunni dei due Istituti che hanno dedicato grande attenzione alla figura di Antonello, con progetti Pon, esposizioni museali e altre iniziative, sarà introdotto dal presidente dell’Assemblea regionale siciliana, Giovanni Ardizzone. Interverranno per i saluti anche le due dirigenti scolastiche, Giovanna De Francesco e Giuseppa Prestipino. La scrittrice Giovanna Giordano dialogherà con l’autrice. Seguirà la lettura di alcuni brani a cura dell’attore Angelo Campolo.
Messina, 1479. Un uomo sta morendo nella sua casa, dopo aver vagato per mesi accompagnato da una bara con dentro una giovane donna. È Antonello da Messina, il grande pittore siciliano, appena tornato da una Venezia flagellata dalla peste.
Antonello è famosissimo, ormai. Ma la Sicilia non ama i suoi figli più geniali e Antonello lo sa. Per questo adesso, nel delirio finale, invoca il vecchio maestro Colantonio.
Quel delirio gli farà rivivere l’infanzia pezzente e l’incontro con i misteriosi artisti del Trionfo della Morte; lo porterà da una Napoli dominata dai cortigiani, come il Panormita e la bella Lucrezia, alla Roma dei cardinali cialtroni e delle puttane; dalla Mantova del Mantegna, alla Arezzo di Piero della Francesca. Da Bruges, dove finalmente scoprirà l’amore e persino il segreto della pittura a olio, a una Venezia che gli darà fama e gloria e l’amicizia coi Bellini.
Il romanzo – scritto in una lingua ora lucida ora appassionata – è anche l’affresco dell’epoca, crudele, affamata di gloria, dove domina l’Angelo della Morte.
Tanti sono i comprimari di questa vicenda, dai familiari meschini e sanguisughe, alla nana Nannarella, morta per amore nei vicoli di Napoli; dall’aristocratica Volatrice e forse erede al trono di Sicilia, al buffone Cicirello; dai viceré scaltri, ai fanatici frati Osservanti, che scatenano a Messina rivolte contro il malgoverno.
Ma in quei viaggi una sola luce per Antonello: Griet, la figlia bastarda di Van Eych. E una sola ossessione: la pittura a olio dei fiamminghi.
Un romanzo storico? Un romanzo picaresco e sulfureo? Un romanzo sull’arte o un romanzo sull’amore estremo?
Forse solo un romanzo su un uomo, Antonello, che fece della sua ambizione un’arma, della fame di carne e di femmine un’ossessione, della pittura uno strumento per durare in eterno.
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