Sbarco migranti: arrestato lo scafista. Le storie dei “viaggiatori”

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Stavolta sono più di 500. 519 per l’esattezza.

Sono arrivati ieri a Messina a bordo della nave militare irlandese L.E. Eithne. I migranti sono stati accolti, visitati e poi trasferiti presso i centri di accoglienza all’interno della struttura sportiva Primo Nebiolo e presso l’ex caserma Gasparro. In 200 sono stati trasferiti in strutture del nord Italia.

Lo sbarco di ieri ha visto impegnati i poliziotti del Gabinetto di Polizia Scientifica, quelli dell’ufficio Immigrazione e gli investigatori della Squadra Mobile, più tutti gli agenti preposti ai trasferimenti e spostamenti dei 519 migranti. Con meccanismi ormai rodati e purtroppo divenuti consueti, la macchina operativa della Questura ha garantito accoglienza e sicurezza e ha reso possibile, in poche ore, l’individuazione dello scafista responsabile del trasferimento di migranti su un barcone sovraccarico dalle coste della Libia alle acque internazionali dove è intervenuta la nave militare irlandese.

E’ un egiziano di 41 anni, Mostafa Abdel Azim Mahmoud Aboli Kricha, che nel 2011 aveva già tentato l’ingresso in Italia con un altro nome e un’altra nazionalità, respinto alla frontiera. Ora è in carcere a Gazzi a disposizione dell’Autorità Giudiziaria.

Anche stavolta le testimonianze dei migranti sono state preziose per arrivare velocemente all’identità dello scafista. Storie per lo più incredibili di ragazzi spesso giovanissimi. 18, 19 anni e alle spalle un viaggio durato, nella migliore delle ipotesi, mesi. Ognuno ha un percorso diverso. Chi ha attraversato Somalia, Sudan, Etiopia per poi arrivare in Libia ed essere arrestato; chi, cercando di racimolare la somma per partire ha fatto l’operaio, il pastore ed è stato sfruttato e maltrattato, persino ferito; e chi, più fortunato, è stato accolto in una moschea o aiutato per strada da perfetti estranei.

E’ il caso di Said che racconta di essere stato aiutato da una coppia a raggiungere Tripoli e, dopo aver dormito una notte in una moschea, di essere stato accolto a casa dell’imam per una settimana. Ha poi lavorato in un autolavaggio per raccogliere 800 dinari consegnati ad un libico di nome Ahmed. “…mi è venuto a prendere e mi ha portato nel suo appartamento e poi mi faceva cambiare casa fino a quando due giorni fa il 21 giugno mi ha condotto verso le 3 del mattino su una spiaggia vicino Tripoli dove ci hanno fatto salire su piccoli battelli a gruppi di 10 persone e ci hanno portato al largo dove ci attendeva il barcone in legno”.

Said ha raccontato di non voler restare in Italia. Vorrebbe raggiungere la Germania.

Luke è nigeriano. A lui non è andata “così bene”. E’ rimasto in carcere per due mesi in Libia. Poi è stato liberato. Ma non ha mollato. Quando è riuscito finalmente ad organizzarsi il viaggio ha raggiunto insieme a tanti altri la spiaggia: “…c’erano diversi libici che, armati di mitra, ci minacciavano per farci salire su un gommone…io non volevo salire perché eravamo in troppi e non sapevo nuotare, ma dato le mie proteste, venivo picchiato, legato per i piedi e coperto gli occhi con una benda per farmi calmare, benda che mi toglievo io quando sentivo che c’era una nave che ci stava soccorrendo…”.

Luke ora sta bene. E’ stato medicato e visitato. Vuole andare in Svizzera.

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