“Padre e figlio hanno agito per motivi di interesse”. Lo ha detto Rosa Raffa, a capo della Procura di Patti, nel definire le cause che hanno portato Giuseppe Pezzino, 26 anni, ed il padre, Antonino Pezzino, 55 anni, titolare di un’agenzia di assicurazioni, a compiere, a vario titolo, i reati di: incendio, danneggiamento seguito da incendio, concorso in truffa e procurato allarme. Reati commessi in una ventina di metri di strada, nella frazione Canneto di Caronìa. Reati per i quali, stamani, al figlio è stato notificata misura cautelare di arresti domiciliari; al padre avviso di garanzia.
Sono reati che hanno destato allarme tra i residenti, che hanno impegnato forze di polizia, ispettori ministeriali, addirittura, per far luce sugli strani incendi del piccolo Comune siciliano, è stata istituita una commissione di esperti e sono stati stanziati 500mila euro per “capire”. Capire un mistero che ha retto oltre 10 anni ( i roghi anomali cominciarono nel 2004) e al quale oggi i carabinieri della Compagnia di Patti, al comando del capitano Giuseppe D’Aveni, sono riusciti a dare parziale soluzione ( soltanto ai casi avvenuti nel 2014). Un’attività investigativa dettagliata, fatta di intercettazioni, di filmati di telecamere di sorveglianza visionati con pazienza certosina. Ad una prima visione, infatti, non erano chiare le movenze di quella figura che si avvicinava ad un’auto e se ne allontanava poco dopo, che usciva da un’abitazione di contrada Canneto e, non appena era a distanza di sicurezza, il fumo si levava da quella vettura, da quella casa, dando luogo ad un incendio. Poi, il filmato, visto, rivisto, mostrava l’azione criminosa compiuta da quella figura: Giuseppe Pezzino. Un esempio: il giovane apre lo sportello di un’Alfa 147 ( appartenente ai cugini) appicca le fiamme e si allontana velocemente. Tutte azioni compiute con straordinaria disinvoltura in pieno giorno, addirittura con il presidio militare e i Vigili del Fuoco a pochi metri da lui. Le abitazioni e le auto colpite appartenevano tutte allo stesso nucleo familiare. Sono 5 le case di Contrada Canneto, tutte appartenenti a zii, cugini, nonna di Giuseppe Pizzino.
Tutti residenti in attesa di indennizzo regionale. Antonio Pezzino pressava per quella somma che avrebbe dovuto risarcire, oltre che i danni materiali, anche quelli “psicologici”: lo stress di persone costrette a vivere con la paura costante di fiamme divampate in casa: a volte anche costrette ad abbandonare la propria abitazione, in cerca di un alloggio.
La “beffa” che – secondo l’accusa- padre e figlio avrebbero messo in piedi ha tenuto in scacco un gran numero di esperti. Partendo dalle origini, 2004, – ma nulla, dalle indagini, lascia intendere che i due Pezzino abbiano agito già al tempo- Canneto di Caronìa era stata al centro di vari eventi incendiari. Da qui la formazione di un “gruppo interistituzionale di osservazione“ dei “fenomeni”. L’ultimo rapporto redatto dal gruppo di esperti, risalente al 2008, formulava come ipotesi plausibile della causa degli incendi delle “emissioni elettromagnetiche impulsive la cui origine poteva essere ipotizzata come situata in un punto imprecisato al largo del tratto di mare antistante”. Il coordinatore del gruppo, però, precisava che la loro attività di monitoraggio era stata intrapresa successivamente al verificarsi dei fenomeni segnalati e che durante la loro permanenza sui luoghi i fenomeni stessi non si erano verificati. Per i danni provocati dagli incendi alcuni abitanti avevano chiesto ed ottenuto dagli enti preposti cospicue somme di denaro a titolo di risarcimento. Gli incendi cessavano nel 2008, ma nel luglio 2014 tornavano a verificarsi, riportando la frazione messinese al centro dei media. I carabinieri avviano le indagini e decidono di perimetrare l’area con una serie di telecamere occultate nella “zona calda” , quella striscia di stradina con 5 case che vi si affacciano: via del Mare. Indagini che oggi hanno portato alla emissione della misura caiutealre nei confronti del giovane Pezzino. Il padre rimane indagato.
Patrizia Vita
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