Per l’indagato Melino Capone, il sostituto procuratore Camillo Falvo ha chiesto il rinvio a giudizio. Per l’ex assessore comunale alla viabilità ed ex commissario regionale dell’Ancol, l’accusa è truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Si tratta del primo filone di inchiesta sull’ente di Formazione Ancol, che ha preceduto di alcuni mesi l’operazione Corsi d’oro della scorso luglio, che portò Melino Capone agli arresti domiciliari. L’odierna richiesta di rinvio a giudizio riguarda l’inchiesta che sfociò nel novembre 2012, quando i riflettori della magistratura furono accesi sull’Ancol, (Associazione Nazionale delle Comunità di Lavoro), per accertare la legittimità dei finanziamenti ottenuti dalla Regione Siciliana, per 13 milioni e 600mila euro, dal 2006 al 2011.
Melino Capone fu, ufficialmente, commissario Ancol sino al 2006. Pare che, dopo quell’anno, nonostante la carica gli fosse stata revocata, avesse proseguito nel ruolo di commissario. Secondo l’accusa, avrebbe anche provveduto a “sistemare” parenti ed amici. Capone -sostiene l’accusa- non più commissario Ancol, avrebbe comunque presentato alla Regione progetti formativi che furono regolarmente finanziati per un totale di 13 milioni e 600 mila euro. Con quel danaro furono aperte nuove sedi a Barcellona, Catania, Palermo e Mirabella Imbaccari, e assunto personale “amico”. Capone- secondo quanto scaturito da indagini al tempo condotte delle Fiamme Gialle- assunse l’intero parentado. Dissero che il padre dell’ex di Palazzo Zanca meritasse, per il suo impeegno all’Ancol, ben 3500 euro mensili. Ma c’era posto anche per madre, fratelli e cugini. E posto c’era per amici e parenti degli amici politici, messinesi, regionali e nazionali. Per loro la paga base variava dai 1200 ai 1600 euro.
L’Ancol nazionale volle porre fine all’azione arbitraria dell’ex commissario Capone con una lettera alla Presidenza della Regione Siciliana. Fu scritto che quella carica, a Capone, era stata revocata e che in Sicilia non esistevano più sedi della onlus. Quella lettera – accertarono i finanzieri – sarebbe stata archiviata frettolosamente da Patrizia Di Marzo, funzionario direttivo della segreteria dell’Avvocato Generale della Regione Siciliana e da Anna Saffioti, responsabile dell’Area Affari Generale della Regione.Anche loro furono indagate per truffa.
Oggi la richiesta di rinvio a giudizio per Melino Capone. Udienza preliminare al prossimo 22 novembre.
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